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Governare l'effetto delle sanzioni si può. Un report di Confartigianato
Quanto pesa la guerra sulla nostra economia? I grandi player del mercato sono il simbolo e le vittime delle sanzioni alla Russia ma non tutti si chiamano Ferrero o Prada: non tutti reggono alla stessa maniera l’impatto della guerra, delle sanzioni e delle ricadute energetiche
Apple, Starbucks, Coca-Cola e McDonald’s, certo. E per quanto riguarda l’Italia Eni, Pirelli, Stellantis, Ferrari, Msc, Barilla, Ferrero. I grandi player del mercato sono il simbolo e le vittime delle sanzioni alla Russia. Ma che dire dei piccoli, per quali a conflitto finito sara più facile recuperare il terreno perso, a Mosca o magari riposizionandosi altrove? La Confartigianato sta facendo i conti con questa situazione, che va ad aggiungersi all’aumento dei prezzi energetici e delle materie prime, che pesa per tutti ma in proporzione più sulle piccole e medie aziende con minor potere contrattuale e più difficoltoso accesso al credito.
Un report del 24 febbraio, subito dopo l’invasione dell’Ucraina, conferma come l’Italia sia stato nel 2021 il quarto esportatore dell’Unione europea verso la Russia per 7,9 miliardi (a fronte di un import di 14 miliardi per oltre la metà gas, greggio e altre materie prime). La Germania è di gran lunga il primo venditore, per 26,8 miliardi; poi Polonia, Olanda e dietro a noi Francia e Belgio. La gran parte del made in Italy venduto in Russia, il 27,9 per cento, sono macchinari e apparecchiature; poi tessile, abbigliamento e accessori (17,5). Un settore in particolare, i mobili, pesano per il 4,3 per cento. E in questi prodotti – alimentari, mobili, legno, metalli e altre manifatture che comprendono gioielleria e occhialeria – che si concentra la maggior presenza di piccole e medie imprese. Il che significa il 34,9 per cento delle esportazioni e un valore assoluto di 2,7 miliardi di euro. Ovviamente non tutti si chiamano Ferrero o Prada; di conseguenza non tutti reggono alla stessa maniera l’impatto della guerra, delle sanzioni, delle ricadute energetiche. Nella Ue se in generale il divario di export con la Germania è ampio, di circa 19 miliardi, siamo invece i primi per vendite sul mercato russo di abbigliamento, pelle e mobili, e secondi per i macchinari.
A livello geografico la regione con la maggiore esposizione sulla Russia (valutata con l’incidenza percentuale delle esportazioni manifatturiere sul valore aggiunto aggiunto del territorio) è l’Emilia-Romagna con l’1 per cento, seguita da Veneto con 0,89, Marche, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Lombardia (0,6). Tra le maggiori province l’export manifatturiero in Russia è almeno l'1 per cento del valore aggiunto del territorio a Vercelli (1,9), seguita da Fermo (1,7), Vicenza, Reggio Emilia, Frosinone, Treviso, Bologna e Piacenza e Rimini, Parma e Macerata con l’1 per cento. Ma non c’è solo l’oggi. Dal 2014 – sanzioni per l’annessione della Crimea – ad oggi l’export italiano in Russia ha perso in percentuale e valore assoluto più del resto della Ue: il 28,5 contro il 25,2 della Germania, il 22,7 di media europea e il 17,2 della Francia. L’Italia era il secondo esportatore nel 2013, oggi è appunto il quarto. In valore assoluto si tratta di tre miliardi in meno l’anno; 24, 7 cumulati in otto anni. Questo gap ha colpito nettamente Abruzzo (meno 76 per cento di export in Russia), Marche (meno 59,6) e Toscana (meno 40,4). Ma anche l’export verso l’Ucraina ha un valore tutt’altro che irrilevante.
Nel 2021 è stato pari a 2,1 miliardi, a fronte di importazioni anche lì quasi tutte energetiche per 3,2; il che significa che l’intero teatro di guerra vale 9,8 miliardi. In questa situazione le importazioni di gas dalla Russia sono passate da 24 milioni di metri cubi del 2014 a 29,07 del 2021 con un picco di 33,5 nel 2019. Una foto dei soli ultimi due anni mostra come nel 2020 lo spread tra Italia e Ue nella tassazioni dei prodotti energetici sia aumentato del 51 per cento; a gennaio 2022 il Pun (prezzo unico energetico) è salito del 407 per cento; nel mese di febbraio il Pun misurato in valore assoluto è passato da 239 euro a megawattora del giorno 1 a 284,29 del giorno 25. “Un deragliamento – così il presidente di Confartigianato Marco Granelli – definisce questa situazione di costi energetici e ricadute delle sanzioni – che amplifica i rischi economici in maniera esponenziale”.