Al vertice di Houston
Il “patto atlantico” sull'energia riguarda i rigassificatori e la transizione ecologica
All’incontro globale dell’oil&gas, l’America in supporto dell'Europa: “Abbiamo bisogno che la produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti cresca, per far fronte alla domanda”, dice Jennifer Granholm, ministro dell’Energia
È difficile immaginare due luoghi diversi tra loro come la reggia di Versailles e l’Hilton di Houston. Lo sfarzo della prima fa impallidire il lusso standardizzato del secondo: un gigantesco blocco di vetro e cemento capace di ospitare 1.200 clienti, con un centro congressi da migliaia di posti. Ma ciò che è avvenuto nei giorni scorsi nel megahotel texano potrebbe avere effetti più importanti di quelli che hanno avuto le discussioni tra i leader europei nel palazzo del Re Sole.
Ogni anno il mondo dell’oil&gas si riunisce all’Hilton per una settimana di conferenze nota come Ceraweek. Di solito è un momento da addetti ai lavori, ma l’edizione 2022 è stata diversa. Dominata dalla crisi ucraina, ma segnata soprattutto da una presa di posizione a sorpresa da parte dell’Amministrazione Biden. Jennifer Granholm, ministro dell’Energia, si è presentata con una richiesta precisa: “Abbiamo bisogno che la produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti cresca, per far fronte alla domanda”. Parole impensabili solo un mese fa da parte di un governo con un’agenda dominata dai temi ambientali. Il messaggio non è rivolto solo alle imprese, ma anche a Wall Street, dove i progetti legati alle fonti fossili sono finiti fuori dal radar. I finanziamenti si sono prosciugati non solo per carbone e petrolio, ma anche per il gas naturale. La guerra di Putin ha cambiato tutto e il governo americano ora chiede di sbloccare 244 miliardi di dollari di investimenti.
Questi investimenti sono fermi e sono su progetti che riguardano il gas naturale liquefatto (Gnl) per aumentare produzione, infrastrutture e trasporti. Se Putin manda i carri armati verso ovest, Biden si prepara a rispondere aumentando le navi metaniere in viaggio nell’Atlantico verso est. L’America non rinuncia agli obiettivi della decarbonizzazione, ma li colloca nel lungo termine. Nel breve, Washington vuole contrastare con un surplus di produzione di Gnl il taglio delle forniture di gas russo.
Resta da vedere come reagiranno i produttori all’esortazione della Granholm, che è stata fatta anche con in mente le sfide interne: nessuna amministrazione, democratica o repubblicana, è entusiasta di arrivare alle elezioni di midterm con prezzi dell’energia alle stelle. La ministra di Biden ha cercato di convincere anche gli investitori che tornare a finanziare progetti legati alle fonti fossili non significa rinunciare al cammino verso le tecnologie verdi: “Siamo seri sulla decarbonizzazione, ma dobbiamo mettere a disposizione fonti di energia affidabili che non dipendano da avversari stranieri”. L’esortazione ai fondi d’investimento è quella di diversificare, tenendo conto della necessità di rimettere in moto la produzione di gas.
L’Europa ora dovrà fare i conti con il cambio di passo. Acquistare Gnl dagli Stati Uniti non significa rinunciare alle altre alternative, dal Tap al bacino del Levante del Mediterraneo. Significa però accelerare nella realizzazione di rigassificatori. Spagna e Portogallo ne hanno molti, la Germania si sta attrezzando anche con impianti galleggianti, l’Italia ne ha solo tre con un quarto in arrivo (Porto Empedocle). Significa anche fare nuove scelte strategiche. La strada giusta può essere quella suggerita dal Financial Times, che ha esortato Bruxelles a stringere un “grande patto” atlantico con gli Stati Uniti: ok al vostro Gnl nel breve termine, ma definiamo subito insieme obiettivi più ambiziosi per la transizione energetica.