Perché ridurre le accise sui carburanti spiegato da chi lo ha già fatto. Parla Bersani
Se aumenta il gettito Iva è doveroso tagliare anche gli altri balzelli, ci dice l'ex ministro dello Sviluppo economico che nel 2008 ha ritoccato le tasse su diesel e benzina. E avverte: "I prezzi regolati sono un rischio se non ci si muove con l'Europa"
La questione, per Pier Luigi Bersani, non è solo fiscale ma anche sostanziale: “Lo stato non può dimostrarsi interessato all’aumento del prezzo del carburante”. In altre parole, se aumenta il gettito Iva per via del rincaro della materia prima, il governo deve tagliare le accise anche per chiarire che non intende fare cassa a spese di chi fa il pieno. Esattamente quello che è successo nel 2008, quando Bersani – che oggi al Foglio ribadisce il concetto – era ministro dello Sviluppo economico: fu il primo in Italia a ritoccare le accise al ribasso quando la crisi economica ha portato il barile a superare per la prima volta i 100 dollari. Oggi che il petrolio ha sfiorato i 140 dollari, il leader di Articolo 1 non ha dubbi: “La norma che consente di tagliare le accise quando si verifica un aumento dell’Iva va ripresa”. E il gettito Iva è aumentato eccome, con la benzina e il diesel che hanno superato i due euro al litro. In alcuni casi è il gasolio a costare di più, nonostante l’accisa più bassa: quasi 62 centesimi contro i 73 della benzina. Se a questi si aggiunge l’Iva, la pressione fiscale arriva intorno al 55 per cento. Dal Parlamento è trasversale la richiesta di ridurre il balzello sui carburanti. E d’altra parte, prima di aggredire i margini di presunti “speculatori” il governo non può che partire dalla riduzione degli “extraprofitti” fiscali che lo riguardano. Ma per Bersani non c’è solo questo strumento tra quelli che si possono già usare per affrontare la crisi dei prezzi energetici. Dalla sua cassetta degli attrezzi ne rispolvera altri.
Primo: monitorare eventuali elementi speculativi con il cosiddetto Stacco Italia-Ue, un osservatorio settimanale che fino al 2018 ha confrontato la media dei prezzi alla pompa italiani con quella degli altri paesi. Perché, dice l’ex ministro dello Sviluppo economico, “il mercato dei carburanti è opaco e non da oggi. Sono entrati nella distribuzione un sacco di soggetti nuovi, si è perso un po’ il controllo degli approvvigionamenti, i grandi marchi hanno fatto passi indietro. Ci sono migliaia di distributori sotto soglia eppure restano in piedi, c’è qualcosa che non quadra ed è difficile da afferrare perché ha dei risvolti internazionali. Bisogna che la Guardia di Finanza aumenti gli sforzi, con tutti gli aiuti anche normativi che il governo può dare”.
Secondo: “rianimare” l’Acquirente unico, un’altra creatura di Bersani che dagli anni Novanta acquista per i piccoli consumatori industriali o familiari in regime di maggior tutela, spuntando prezzi più convenienti grazie ai volumi. “Ha sempre funzionato finché qualche anno fa hanno cominciato a smontare anche quello, togliendogli strumenti di contrattazione, nella logica di convincere la gente ad andare sul libero mercato”. Hanno sbagliato? “Sì, perché è un soggetto di mercato e oggi potrebbe anche fare contratti con soggetti che producono rinnovabili. Ma voglion davvero spiegare la liberalizzazione a Bersani?”, aggiunge da ministro “delle lenzuolate”.
Oggi invece per calmierare si parla di tetto del prezzo. “Capisce?”, sorride. “Quelli che hanno abolito l’Acquirente unico perché condizionava il mercato adesso invocano il prezzo regolato”. Quali rischi ci vede? “Se fosse un’azione su scala europea, sarebbe un azzardo ma si potrebbe anche fare. Che si possa fare in una dimensione nazionale mi lascia perplesso per due motivi: il primo è che non arrivino i rifornimenti perché i fornitori possono vendere a chi paga di più, il secondo è che il mercato possa tornare a ribassare i prezzi e il tetto fissato finisca per essere a perdere. Se si muove tutta l’Europa ha potere diverso”.
Terzo strumento, meno pronto all’uso ma indispensabile: tornare a costruire infrastrutture energetiche, come il rigassificatore di Rovigo, inaugurato nel 2008 quando a via Veneto si era da poco insediato Claudio Scajola. Per Mario Draghi essersi allontanati da quella strada è uno degli errori energetici del passato. Per Bersani aver contribuito a quel progetto vuol dire ricordare “sforzi e battaglie che si potrebbe scrivere un libro per raccontarle. E’ il più grande rigassificatore che abbiamo e ci porta il gas che arriva con le navi, proprio come quello che arriva col Tap. Peccato che da allora non si sia più fatto un tubo di niente”.