L'intervista
"Sul caro energia servono investimenti, non bonus populistici". Parla Danti (Iv)
"Serve il taglio accise, unito a un tetto massimo dei prezzi. Occorre diversificare subito sull’approvvigionamento e aumentare le importazioni" dice l'europarlamentare di Italia Viva
Una richiesta, una soltanto. “Che non si pensi di uscirne anche stavolta con l’ennesimo sussidio elettorale”. Nicola Danti ne è convinto: “Affrontare una crisi strutturale, una congiuntura decisiva nello sviluppo delle politiche energetiche per i prossimi decenni, è un compito che non si può pensare di risolvere con un bonus”. E così l’eurodeputato toscano di Italia viva, renziano alla corte di Macron, uno dei relatori ombra al Parlamento di Bruxelles sul pacchetto “Clima 2030”, lancia dall’estero il suo appello all’Italia. “Per uscire da dipendenza energetica, anzitutto rispetto a Mosca, l’approccio deve essere europeo. La guerra in Ucraina ci dimostra che la politica energetica non è solo una questione economica. È un pezzo di strategia di politica estera e di difesa. Non c’è solo la Russia infatti. Tolti Stati Uniti, Norvegia e Canada, la maggior parte del nostro approvvigionamento energetico viene da paesi instabili. L'Europa ne può uscire con gestione comune. Bisogna aumentare la capacità dello stoccaggio energetico e delle infrastrutture. E poi serve una grande infrastruttura europea unica”.
Vaste programme, converrà. “Certo. Ma bisogna avere chiaro quale sia il percorso da seguire. Serve una strategia di breve, medio e lungo periodo, non slogan o anticipazioni di campagna elettorale. Nel breve sicuramente intervenire per aiutare famiglie e imprese, ma non con sussidi. Serve il taglio accise, unito a un tetto massimo dei prezzi. E in questo senso la Commissione ha incoraggiato gli stati membri. Ma unito a questo serve anche un sistema di vigilanza sul mercato degli extraprofitti”.
Cosa non la convince, onorevole Danti, delle proposte di "assegno energetico" per le famiglie meno abbienti? “Un bonus energia per le famiglie meno abbienti già esiste. Se serve implementiamo quello. Creare nuove misure sussidio, significa nuova burocrazia e tempo che oggi non abbiamo. L’emergenza è ora e la risposta deve essere più generalizzata possibile, a famiglie e imprese. I sussidi danno consenso facile, certo, ma costano tanto e spesso non creano opportunità. Insomma, i soldi usiamoli per abbassare i costi dell’energia, mettendo un tetto massimo ai prezzi, vigilando sul mercato e creando investimenti, non nuova burocrazia. Pensiamo solo che la Francia investirà fra i 20 e 25 miliardi di euro per calmierare i prezzi dell’energia. E loro hanno il nucleare. E poi abbattere le accise e l’Iva, per intervenire sul prezzo del carburante. Mi auguro che questa sia la volta buona. Non come quando qualcuno andava a cancellarle alla lavagna, solo in televisione”.
Diceva poi del medio e del lungo periodo. “Certo. Medio periodo significa porsi anche il problema di cosa succederà prossimo inverno, non solo oggi. Quindi occorre diversificare subito sull’approvvigionamento e aumentare le importazioni. Quando la Commissione a dicembre 2021 ha pubblicato la tassonomia green, sono saliti tutti sulle barricate. Oggi forse capiamo che non si può fare a meno del gas. Semmai, dobbiamo fare a meno del gas russo. E quindi serve un’infrastruttura europea, che permetta di arrivare anche a una solidarietà energetica, e quindi a uno scambio fra i Paesi in base al bisogno. Alla base di tutto c’è però un elemento necessario, che fino ad oggi è mancato. Ovvero iniziare a considerare la politica energetica anche come un elemento essenziale della nostra sovranità. Anche perché il processo sulle rinnovabili non è immediato. E poi c’è la prospettiva più lunga”.
Ovvero? “Non bisogna perdere di vista la transizione verde, il Green Deal europeo. E quindi sbloccare l’Italia su rinnovabili. In questi anni si è fatto davvero poco anche a causa di sovrintendenze, ministeri, pubbliche amministrazioni, che fanno sì che superare lo scoglio delle procedure autorizzative sia praticamente impossibile. E’ in fondo anche una rivoluzione culturale. Bisogna superare in Italia il populismo politico applicato allo sviluppo. Quello dei no a tutto: no a gas, non alla tap, no alle trivelle. Il tutto, mentre in Spagna si facevano rigassificatori, in Francia si puntava sul nucleare, e noi stavamo fermi. Altro che diversificazione. Noi ci ritrovavamo con un partito che voleva governare il paese, come il M5s, che stava a capo dei comitati che s’opponevano a qualsiasi infrastruttura energetica, e anche a forme di rinnovabili come il geotermico”.