Foto LaPresse - Donato Fasano 

La guerra? L'allarme sugli alimenti è ancora fortemente esagerato

Stefano Cingolani

Se l'Unione Europea si dimostrerà unita, senza dannosi slanci protezionistici, non ci saranno problemi di approvvigionamento nemmeno per l'Italia, fino all'inizio della prossima campagna

Speculazione: l’atto di accusa scagliato da Roberto Cingolani per il gas, vale anche per il grano? La crisi c’è, sia chiaro, e s’aggrava, soprattutto se la guerra in Ucraina impedirà la semina per il prossimo anno come sottolinea il Financial Times. La Fao avverte che il 30% delle aree destinate ai cereali in Ucraina non verrà coltivato oppure il raccolto resterà a marcire sui campi. Un quadro allarmante, ma basta a spiegare gli aumenti record dei prezzi già messi in conto ai consumatori? E può davvero giustificare le grida di dolore che s’alzano dal mondo agricolo? Considerando le scorte agricole nel loro complesso, in base alle proiezioni del Dipartimento per l'Agricoltura degli Stati Uniti, se l'Unione Europea si dimostrerà unita, senza dannosi slanci protezionistici, non ci saranno problemi di approvvigionamento nemmeno per l'Italia, fino all'inizio della prossima campagna.

 

Secondo un’analisi della Confagricoltura, nei primi dieci mesi del 2021 l’Italia ha importato 122 mila tonnellate di grano tenero (quello con cui si fa il pane) dall’Ucraina e 72 mila dalla Russia: quantità che messe insieme sono circa il 5 per cento del totale. Il grano duro (quello con cui si fa la pasta) viene importato dalla Russia, circa 51mila tonnellate nello stesso periodo dello scorso anno, che sono pari ad appena il 2,5 per cento del totale. A confermare la tesi speculativa c’è che il prezzo del grano è in un vero saliscendi, è aumentato rapidamente poi è sceso dell’8% in un solo giorno tra il 7 e l’8 marzo, trascinando in basso anche mais e soia. Tuttavia, la speculazione s’innesta come sempre in una contraddizione oggettiva tra domanda e offerta. Tanto che le quotazioni sul mercato future di Chicago che per grano, mais e soia restano comunque ai massimi.

I prezzi del grano tenero e del mais hanno superato per la prima volta nella storia italiana i 400 euro a tonnellata. Lo comunica Cai - Consorzi Agrari d'Italia - in base alla rilevazione settimanale della Borsa Merci di Bologna, punto di riferimento per le contrattazioni fisiche dei prodotti agricoli. Rispetto alle rilevazioni del 17 febbraio, ultima settimana prima dell'inizio della guerra, il grano tenero ha subito un’impennata del 31,4%, il mais del 41%, sorgo e orzo del 38%, la soia del 9,5%. L’import è diversificato, come abbiamo visto, quindi l’impennata dei prezzi finora è dovuta soprattutto ai costi dell’energia e alle fosche aspettative create dalla guerra. Si può parlare, insomma, di scarsità relativa, un’attesa che non si è per il momento non si concretizzata, anche se l’ansia per il futuro è più che comprensibile.

 

L’Ucraina non è più il granaio d’Europa come si diceva nel secolo scorso, resta comunque il quinto fornitore al mondo dopo Russia, Stati Uniti, Canada e Francia. Un terzo del grano esportato proviene da Russia e Ucraina. Per il momento i paesi più colpiti sono nel Nord Africa e in Medio Oriente. L’Unione europea compra dall’Ucraina un quinto del grano che consuma, segale, miglio, zucchero, sale e carne che adesso non potranno più uscire dal paese. Poi c’è l’olio di girasole: il 60% della produzione mondiale viene da Russia e Ucraina. La Coldiretti stima che, su 570 milioni di euro pagati per prodotti importati da Kiev in Italia lo scorso anno, 260 sono stati spesi per l’olio di girasole. Il blocco di porti come Odessa e Mariupol a causa della guerra ha troncato gli scambi; secondo Assitol (Associazione italiana dell’industria olearia), le scorte di olio di girasole potrebbero esaurirsi entro l’anno con ricadute su molti prodotti: conserve, biscotti, salse, condimenti, sughi, fritture, in alcuni casi anche pasta. La Coldiretti suona la grancassa e lancia il tema della “sovranità alimentare”: l’Italia produce appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell'orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all'84% di auto approvvigionamento. Come per l’energia, dunque, la guerra in Ucraina apre un capitolo che sembrava superato con l’irrompere del mercato globale.
  

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