"Serve un price cap al gas o l'industria collassa". Parla il presidente di Confindustria Lombardia
Produzione in affanno tra energia e materie prime. “Ripensare alla cassa Covid”, dice Francesco Buzzella, capo degli industrali lombardi
Chiuso il provvedimento su benzina e bollette, c’è un altro fronte di cui Mario Draghi e i suoi ministri dovranno tornare a occuparsi. Quello dell’industria. L’impennata dei prezzi del gas che si è vista dopo l’invasione dell’Ucraina rende vani gli sforzi economici fatti finora dal governo, che già con il precedente decreto energia aveva riconosciuto contributi straordinari agli energivori. “Dobbiamo fare qualcosa per riportare il gas tra i 70 e gli 80 euro/MWh, altrimenti chiude il paese”, dice al Foglio Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia. Secondo una stima della regione, dove dall’autunno hanno già chiuso oltre 300 imprese, per riportare il gas a livelli sostenibili servirebbero tra i 15 e i 20 miliardi. Una cifra simile a quella che lo stato ha sborsato finora per contenere i rincari in tutto il paese, famiglie comprese. Lo sforzo sarebbe enorme. “Chiediamo al governo un atto di coraggio. Una strada è quella di fissare un tetto ai prezzi del gas”. Draghi ci proverà al prossimo Consiglio europeo, sfruttando l’asse consolidato giovedì con Spagna, Grecia e Portogallo. Perché, come dice ancora Buzzella, il prezzo regolato funziona se tutti i paesi sono d’accordo. Altrimenti? “Altrimenti il governo dovrebbe prendere comunque di petto la questione. Meglio uno scostamento di bilancio importante, va bene anche colpire gli extraprofitti. Ma l’energia ha effetti trasversali che vanno considerati”.
Gli effetti a cui pensa Buzzella sono quelli sull’inflazione, già in forte aumento. “Pensiamo spesso alle bollette e alla benzina, ma è poca cosa in confronto a quello che il prezzo dell’energia determina sulla catena del valore delle merci. Gli effetti della guerra non si vedono ancora a valle, ma i listini sono impazziti e purtroppo ci sarà uno tzunami di aumenti ulteriori rispetto a quelli che ci sono stati finora”.
Ci sono anche i grovigli dell’export a riflettersi sulla produzione industriale, con le merci bloccate in Russia e Ucraina. E non c’è soluzione sovranista che tenga se mancano le materie prime. La lista è impietosa: “Mancano fertilizzanti per le imprese agricole, carbon black per la gomma, nickel per la siderurgia, rottami per acciaierie e fonderie. Ci sono aziende che non hanno più olio di girasole e mancano i cablaggi per l’automotive. Questi settori avranno bisogno di aiuti straordinari”.
Un modello è quello messo in pratica durante i periodi più duri della pandemia, che soprattutto in Lombardia ricordano bene. “Le richieste di cassa integrazione modulate sulle chiusure temporanee potrebbero essere gestite come fatto con la cassa Covid, ma anche le moratorie sui mutui sono stati strumenti utili”. Così si potrebbe gestire quello che oggi sembra quasi l’ordinario. Ma esiste poi uno scenario peggiore, quello a cui il governo si prepara nel caso di interruzione dei flussi di gas russo. L’energia andrebbe razionata con meccanismi di interrompibilità, quindi alcune imprese dovrebbero fermarsi temporaneamente. “Speriamo non sia Putin a chiudere i rubinetti”, dice Buzzella. E se fosse l’Ue? “Sarebbe masochista decidere un embargo, si fermerebbe l’industria e non solo quella italiana, un disastro. Questa crisi energetica ci serva da lezione. Abbiamo sempre detto no a tutto, dalle trivelle al nucleare al Tap, senza cui ora saremmo messi peggio. Oggi ci serve più gas e infrastrutture. Ed è una lezione che non potevamo imparare in modo più drammatico”.