L'automotive in panne. La guerra limita cablaggi e materie prime
L'invasione della Russia in Ucraina mette a rischio le forniture verso l'Europa di componentistica, platino, palladio e altri materiali indispensabili per la produzione di vetture. Da Volkswagen a Porsche, l'industria automobilistica accusa il colpo
L’occidente e l’Europa, benché rapidi e inaspettatamente allineati nella reazione, sono stati colti impreparati dal degenerare in guerra aperta e su larga scala della crisi russo-ucraina. Tanti, infatti, i contraccolpi sull’economie a ovest di Kyiv. Anche il settore automotive, già in grande difficoltà, vede peggiorare il contesto di operatività e le prospettive di ripresa. In Ucraina, infatti, si producono i cablaggi, indispensabili per sistemare i chilometri di cavi elettrici – chilometri per singola vettura – che trasmettono una miriade di informazioni necessarie per far funzionare l’auto e garantire i tanti comfort a cui siamo abituati.
Componenti, invero, a basso costo, benché realizzati da manodopera specializzata che in Ucraina non manca. Tanto che negli ultimi anni almeno una ventina di aziende hanno investito più di 600 milioni di dollari realizzando 38 stabilimenti dove lavoravano più di 60 mila persone, in grandissima parte impegnati sui cablaggi. Quasi ogni autovettura, e di certo ogni piattaforma su cui è realizzata, ha infatti i propri cablaggi che sfruttano ogni millimetro di spazio e sono dunque specifici per ogni veicolo, che senza cablaggi non può essere assemblato.
Un bel guaio innanzitutto per la vicina industria tedesca che, pur cercando immediatamente alternative, ha dovuto rallentare o arrestare la produzione. A Dresda e Zwickau il Gruppo Volkswagen ha fermato le produzioni delle ibride plug-in e delle vetture elettriche realizzate sulla piattaforma Meb, le VW ID 3, 4 e 5, ma anche l’Audi Q4 e-tron e la Cupra Born. Bmw ha dovuto fermare le linee degli stabilimenti di Monaco e Dingolfing, in Germania, la fabbrica di motori a Steyr, in Austria, quella nell’exclave russa di Kaliningrad e anche la produzione di Mini a Oxford, in Inghilterra. Porsche a Lipsia ha dovuto sospendere l’assemblaggio di Macan e Panamera, partendo delle ibride plug-in. Mercedes per ora ha solo rallentato la produzione mentre Stellantis avrebbe già trovato un’alternativa in Europa all’approvvigionamento ucraino. E questo nonostante sia tutt’altro che semplice spostare o anche soltanto riallocare le produzioni, anche sul solo piano logistico: i cavi, diversi tra loro, non possono essere ammucchiati insieme.
In Ucraina, con enormi difficoltà alcuni impianti lavorano a capacità ridotta grazie a personale già in pensione, non soggetto alla coscrizione obbligatoria, mentre all’estendersi del conflitto si aggrava il problema dei trasporti: sempre più difficile trovare conducenti e vettori disposti a muoversi in zone sempre più pericolose. Naturalmente, le produzioni sono già ai massimi in altri paesi con manodopera a basso costo come Romania, Serbia o Tunisia, dove già operano i fornitori con stabilimenti in Ucraina. Per allestire nuove linee servirebbero mesi e investimenti rilevanti. Insomma, la proditoria invasione russa dell’Ucraina ha fatto rotolare un altro macigno sul già accidentato sentiero di ripresa del mondo dell’auto. La flessione del 5,4 per cento registrata a febbraio ha portato le vendite di auto nuove in Europa ai minimi storici, mentre le stime per la produzione mondiale tanto per il 2022 quanto per il 2023 sono state già riviste al ribasso.
E questo macigno, sommato alle altre carenze, potrebbe diventare una vera e propria frana. Gli impatti del blocco delle esportazioni deciso da Mosca in risposta alle sanzioni sono da considerarsi molto modesti (sono 89 mila i veicoli prodotti in Russia destinati all’Europa nel 2021), ma ben più gravi sono gli effetti della guerra sulle produzioni di materiali e materie prime ormai fondamentali. Sono infatti a rischio le forniture di argo, cripto, xeno e neon. Un elemento, quest’ultimo, di fondamentale importanza per i laser dei macchinari utilizzati nella produzione dei semiconduttori e dunque dei microchip, la cui crisi è tutt’altro che risolta. E purtroppo ben il 70 per cento delle forniture mondiali di neon è di origine ucraina.
La Russia è poi un importante produttore di platino e palladio, utilizzati per i catalizzatori delle auto endotermiche, ed è il terzo produttore mondiale di nichel, le cui quotazioni sono salite alle stelle, utilizzato per le batterie. Da qui i ritocchi al rialzo dei prezzi di listino delle auto elettriche.
Per i prossimi anni dunque, mentre le case automobilistiche occidentali (e giapponesi) lasceranno campo libero a quelle cinesi nel mercato russo, tutto fa pensare che l’automobile sarà sempre più costosa per moltissimi potenziali acquirenti europei.