Ubi maior, minor cessat
La dipendenza dalla Russia e la fine dei tabù sulla transizione verde
La crisi energetica porterà inevitabilmente a un ritardo nel raggiungimento della neutralità climatica, rinviando ancora una volta il contrasto al riscaldamento globale. Il profondo sconforto degli ambientalisti è comprensibile, eppure se guardiamo oltre il breve periodo ci sono motivi di ottimismo
Ubi maior, minor cessat. Con questo adagio, gli antichi romani riconoscevano che di fronte a una preoccupazione pressante, tutti gli altri problemi passano in secondo piano. In questi giorni, le orribili scene di guerra provenienti dall’Ucraina hanno catturato l’attenzione dell’Occidente e portato a un’ondata di sanzioni economiche senza precedenti contro la Russia. L’urgenza di tagliare i legami con l’oppressore, colosso di gas e petrolio, ha spinto persino a giustificare la riapertura di vecchie centrali a carbone, in contraddizione quantomeno con lo spirito di un accordo raggiunto alla Cop26 di Glasgow solo pochi mesi fa. I mercati hanno preso atto, e il prezzo delle emissioni di carbonio in Europa è crollato di circa il 40 per cento in poco più di una settimana, da un massimo storico di circa 100 euro a tonnellata. Sembrerebbe quindi, a prima vista, che la crisi energetica porterà inevitabilmente a un ritardo nel raggiungimento della neutralità climatica, rinviando ancora una volta il contrasto al riscaldamento globale. Il profondo sconforto degli ambientalisti è comprensibile, eppure se guardiamo oltre il breve periodo ci sono motivi di ottimismo.
In primo luogo, gli economisti hanno da tempo identificato la tassazione delle emissioni di carbonio (carbon pricing) come lo strumento chiave per affrontare il cambiamento climatico. Il fatto che i prezzi di petrolio e gas siano saliti alle stelle dall’inizio della guerra, e si prevede che rimarranno alti, influenzerà l’economia proprio come una forte tassa sul carbonio. In parole povere, rende i miglioramenti dell’efficienza energetica molto più pressanti sia per i consumatori sia per le aziende. Inoltre, fa pendere la bilancia a favore degli investimenti in fonti rinnovabili, rendendole ancora più attraenti rispetto a quelle basate sui combustibili fossili. Per esempio, ai prezzi attuali del petrolio, ogni chilometro percorso con un’auto elettrica è 3-4 volte più economico che in un’auto con motore a combustione interna, fornendo evidentemente una motivazione in più per accelerarne l’adozione. Considerazioni simili si applicano all’installazione di pompe di calore per il riscaldamento domestico, in un momento in cui i prezzi del gas sono ai massimi storici in Regno Unito, Europa e Asia.
Quando la guerra sarà finita (si spera presto) e i prezzi dell’energia si normalizzeranno, questi cambiamenti strutturali si saranno ormai radicati nell’economia. Sappiamo che è così perché non è la prima volta che succede. Durante la crisi petrolifera degli anni ‘70, quando il prezzo del barile triplicò in breve tempo, ne seguirono cambiamenti radicali e duraturi. Nel tentativo di rompere la dipendenza dal petrolio e dai ricatti dell’Opec, la Francia puntò fortemente sull’energia nucleare. A fronte di ciò, mezzo secolo dopo è ancora uno dei paesi industrializzati con le più basse emissioni di gas serra pro capite (circa un terzo degli Stati Uniti nel 2018). L’Olanda, essendo un piccolo paese in gran parte pianeggiante, ha risposto alla crisi petrolifera con una spinta senza precedenti verso l’uso delle biciclette: una caratteristica per cui la nazione è tutt’ora leader mondiale. In Europa e negli Stati Uniti auto di dimensioni più ridotte presero piede, aprendo la strada al successo delle automobili giapponesi, caratterizzate da un motore a cilindrata minore e da maggiore efficienza nei consumi. Non è un caso che tutt’oggi l’industria automobilistica nipponica sia uno dei maggiori esportatori al mondo, ed è stata tra i pionieri della tecnologia ibrida già nei primi anni 2000. Allora, come oggi, gli scettici facevano notare che queste soluzioni avrebbero richiesto tempo, difficilmente risolvendo il problema degli alti prezzi dell’energia nel breve termine. Invece le dinamiche di breve termine dovute a un alto prezzo dell’energia portarono a notevoli ripercussioni a lungo termine, evidenti ancora oggi.
C’è tuttavia una seconda ragione, più politica, per cui la crisi energetica accelererà la transizione verde. L’attuale tensione con la Russia infonderà un forte senso di urgenza nel ridurre il consumo di combustibili fossili, mentre l’azione climatica soffre notoriamente del problema di avere un impatto solo nel medio e lungo periodo: forti investimenti ora, nella speranza di evitare un aumento della temperatura terrestre nel 2050 o 2100, con il risultato che si procede sempre troppo piano. Come notato dall’esperto di studi strategici Anatol Lieven nel libro “Climate Change and the Nation State”, il fatto che le priorità di sicurezza nazionale e la transizione ecologica siano allineate può essere un vantaggio. Abbattendo totem ideologici radicati, la nuova realtà geopolitica implica che le politiche verdi non siano più una prerogativa delle giovani élite urbane cosmopolite. Di fatto, non c’è nemmeno bisogno di credere nel riscaldamento globale per essere a favore della rottura della dipendenza energetica russa, anche attraverso forti investimenti in fonti di energia alternativa. Questo è particolarmente importante nei paesi in cui la lotta al cambiamento climatico è diventata un argomento altamente polarizzante come gli Stati Uniti.
Il fatto che i prezzi dei combustibili fossili stiano salendo alle stelle bruscamente crea gli stessi incentivi del carbon pricing per accelerare la transizione verde, ma con la differenza che porterà a più turbolenza macroeconomica nel breve termine. Per esempio, svariati commentatori stanno esplicitamente considerando la possibilità di un razionamento dell’energia per il prossimo inverno. Non si possono escludere un calo della crescita e un’accelerazione dell’inflazione, con ripercussioni negative sul potere d’acquisto delle famiglie, sulle finanze pubbliche e sulla stabilità sociale. Quanto meno più di quanto una transizione verde ben gestita e in tempi di pace avrebbe implicato. Tuttavia, a seconda delle opinioni politiche, i cittadini vedranno tutto ciò o come un prezzo da pagare per difendere la sovranità nazionale e la democrazia liberale, o come qualcosa da imputare alle velleità di un aggressivo stato imperialista. Entrambe le visioni non metteranno comunque in discussione la necessità di accelerare lo svincolamento dalla Russia, e quindi dai combustibili fossili. Che sia in guerra o in pace, il futuro sarà inevitabilmente verde.
Alessio Terzi, autore di “Growth for Good”