Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro della stagflazione
Ci troviamo in uno scenario peggiore degli anni Settanta: l’inflazione può sfuggire di mano. La Fed sta agendo in ritado, ma la Bce che fa?” Parla Monacelli
“Al momento non vediamo segnali di stagflazione”, ha detto la presidente della Bce, Christine Lagarde, intervenendo a una conferenza dell’Istituto Montaigne di Parigi. Eppure, il rischio di andare incontro a una fase di forte aumento dei prezzi con bassa crescita è concreto, come avverte un numero crescente di centri studi e di economisti ricordando ciò che accadde negli anni Settanta con lo choc petrolifero. “In quegli anni l’errore più grande – dice al Foglio Tommaso Monacelli, economista dell’Università Bocconi – fu una politica troppo poco restrittiva da parte delle banche centrali per quasi tutta la durata della crisi”.
“Si arrivò al 1979 – prosegue Monacelli – prima che fosse invertita la rotta dell’inflazione grazie al nuovo capo della Federal Reserve, Paul Volker, il quale comprese che solo attraverso una serie di aumenti dei tassi d’interesse nominali si potevano riportare in positivo i tassi reali e tenere sotto controlli i prezzi. Nella situazione attuale la Fed è intervenuta con grande ritardo, ma ha tracciato un percorso di aumento progressivo dei tassi analogo a quello seguito da Volker. Tutto questo mentre la Bce continua a muoversi in modo incerto”. Monacelli è uno degli economisti più scettici sulla natura transitoria dell’inflazione, anche perché, osserva, “non esistono un’inflazione transitoria e una permanente, l’inflazione è unica e può diventare transitoria in base alle scelte di politica monetaria che orientano le scelte di consumatori e investitori. Se questo non avviene vuol dire che c’è un problema”. Per Monacelli non è una questione di falchi e di colombe, ma di comunicazione. “Una politica monetaria ben fatta è quella che agisce in anticipo e traccia un sentiero per gestire le aspettative: se una banca centrale è molto trasparente sul futuro può arrivare a frenare l’inflazione semplicemente perché cambia la percezione prospettica”. Insomma, la politica monetaria “è un misto tra scienza e arte”, che può diventare “un mestiere molto difficile quando la spinta all’aumento dei prezzi arriva dal lato dell’offerta. Quello che si deve fare è tenere la barra a dritta evitando di generare confusione, cosa che purtroppo sta facendo oggi la Bce di Lagarde”.
Ma non è proprio l’aumento del costo del denaro in un contesto di decrescita economica a portare stagflazione? “Se è per questo ci troviamo in uno scenario anche peggiore rispetto agli anni Settanta – prosegue Monacelli – perché l’inflazione è spinta verso l’alto oltre che dall’aumento del prezzo del petrolio anche da quello del gas e dal perdurare delle interruzioni delle catene di approvvigionamento mondiale, fenomeno che allora non esisteva perché l’economia non era così globalizzata”. Ma proprio dagli anni Settanta, secondo l’economista della Bocconi, ci arriva una lezione preziosa, che è quella che la corsa dei prezzi può sfuggire al controllo. “Il presidente della Fed, Powell, nel suo ultimo intervento ha detto: ‘Restore price stability’, ritrovare la stabilità dei prezzi, ammettendo implicitamente l’errore di non essere intervenuto prima. La Banca centrale americana ha così impostato un percorso di sei-sette aumenti dei tassi di 0,25 punti base ciascuno. Nonostante questo, non è detto che riesca a riportare in positivo i tassi d’interesse reali. Perché quello che si dimentica spesso è che per frenare l’inflazione bisogna arrivare a rendere positivi i tassi reali, agendo in modo tempestivo. A ogni modo la Fed ha avviato il cambiamento necessario. La Bce che fa?”.
tra debito e crescita