Elvira Nabiullina, la salvatrice del rublo
La governatrice della Banca centrale russa ha imparato a muoversi tra libero scambio e manie imperiali di Putin. Ora per finanziare la guerra rischia di vanificare il (buon) lavoro fatto per vent’anni
Elvira Nabiullina è stata la prima governatrice donna di una Banca centrale importante: Janet Yellen alla Federal Reserve e Christine Lagarde alla Banca centrale europea sono arrivate dopo. Entra nel governo russo con l’arrivo di Putin, nel 2000, prima come vice ministro dell’Economia, e poi, dal 2007, come ministro. Nel 2013 diventa governatore della Banca centrale della Russia. Da allora l’incarico le è stato sempre rinnovato, e in questi giorni Vladimir Putin ha riproposto la sua candidatura al Parlamento, nonostante le voci insistenti che Nabiullina avesse scritto ben due lettere di dimissioni, entrambe respinte.
Il governatore di una Banca centrale ha il compito di accompagnare, secondo le modalità condivise con il potere politico, lo sviluppo del paese. Così è ovunque, e così ha finora fatto Elvira Nabiullina. Dopo l’invasione dell’Ucraina però molte cose, se non tutte, sono cambiate, e si tratta di capire questi cambiamenti, e il ruolo che avrà la Banca centrale russa e quindi il suo governatore. L’economia russa dipende in misura notevole dall’andamento delle materie prime, sia ai fini interni sia ai fini esteri. Nel primo caso, perché una parte cospicua delle entrate dello stato trae origine dai redditi che si formano a partire dalle materie prime. Nel secondo, perché la vendita all’estero delle materie prime finanzia le importazioni. Non solo. Il flusso delle esportazioni russe non è pagato in rubli ed è maggiore del flusso delle importazioni che sono pagate in valuta, e quindi, grazie a un saldo commerciale positivo, la Russia può accumulare delle riserve di valuta cospicue. Abbiamo così uno stock di ricchezza: le riserve in valuta della Banca centrale, che sostiene l’autonomia, o, se si preferisce, la sovranità della Russia. Le riserve possono, infatti, essere usate per sostenere, se necessario, il cambio, come Nabiullina ha fatto in passato, oppure per finanziare per qualche tempo le importazioni, qualora le esportazioni venissero, per qualche ragione, congelate.
E’ stata la prima donna a capo di una Banca centrale importante: Yellen e Lagarde sono arrivate dopo
Va tenuto presente che il settore delle materie prime – la fonte maggiore di entrate fiscali, nonché della ricchezza in valuta pregiata – in Russia è in mano privata solo per una quota minuscola. Il bilancio dello stato russo è passato nel giro di pochi anni da un disavanzo del tre e mezzo ad un avanzo del tre per cento del pil. Si è ridotto il debito pubblico, che ha una dimensione gestibile. Grazie al modesto debito pubblico, che non richiede manovre particolari per essere finanziato, e grazie alle cospicue riserve valutarie accumulate, la Russia ha ottenuto gli strumenti finanziari per perseguire la ricerca di una sovranità politica e militare di sapore imperiale.
Partendo da qui si può ricavare una spiegazione della logica economica sottostante il “putinismo”. Infatti, invece di espandere l’economia, con un bilancio pubblico lasco, e invece di accettare l’esistenza di una bilancia commerciale in disavanzo come contraltare di una domanda domestica vivace, insomma, invece di avere una politica volta a spingere la crescita dell’economia, si è preferita l’opzione della crescita modesta. Una crescita modesta che ha permesso di costituire delle riserve cospicue in campo finanziario al fine di favorire un ritorno imperiale, che potrebbe richiedere una prova di forza, laddove la forza russa è ritemprata dalle riserve cospicue e dal debito pubblico modesto.
Curiosamente, l’immersione russa nell’economia mondiale è stata attuata negli ultimi tre decenni in una modalità “ortodossa”, ossia con una politica economica centrata sull’austerità fiscale e sul cambio del rublo libero di fluttuare. Il governo economico in Russia è sempre stato “tecnico”, nel senso che le politiche vengono decise dal presidente, che però finora si è piegato alle necessità dell’economia. Infatti, mentre negli anni si è assistito al dilagare del potere dei falchi, dalle zone di loro naturale competenza come l’esercito e i servizi, alla cultura, alla politica, e a praticamente tutti i campi della vita russa, il blocco economico dell’esecutivo è rimasto l’ultima roccaforte dei “liberali sistemici”, che hanno continuato a comportarsi come se stessero amministrando l’economia di un paese occidentale. I tecnici economici del governo e Nabiullina non si sono piegati a pressioni populiste, cercando di parare per quanto possibile le ripercussioni della politica sulla disastrata moneta russa, e stringendo i cordoni della borsa, fin troppo secondo alcuni critici, perfino quando si sarebbe potuto utilizzare i fondi cospicui accumulati nel Fondo sovrano per finanziare il lockdown. Una scelta che si potrebbe etichettare come appartenente a una scuola “liberista”, alla quale Nabiullina senz’altro appartiene, se non fosse che, invece di perseguire una finalità di libero scambio in un mondo irenico, alla fine questa scelta è stata utilizzata in nome di un ritorno imperiale.
Un dilemma, libero scambio versus impero, che ora Nabiullina non può più permettersi di ignorare. L’impatto delle sanzioni sul sistema bancario russo, con l’espulsione dal sistema di informazioni, il congelamento delle riserve della sua banca centrale depositate all’estero, e la messa sotto sequestro dei beni dei pretoriani del regime all’estero, ha cambiato tutto. A queste decisioni prese dagli stati si sommano quelle di numerosi privati, che hanno deciso di chiudere le attività in Russia. L’uscita vorticosa degli operatori dal rublo e dalla Borsa, subito chiusa, invece, è frutto delle decisioni prese soprattutto dai russi. Da notare che non vi è stato, a differenza del passato, un intervento per sostenere il cambio del rublo, ritenuto inutile data la dimensione del collasso, e neppure un tentativo di riaprire gli scambi di Borsa.
La Banca centrale della Russia dovrà ora cambiare i propri comportamenti, ma anche le altre banche centrali devono rivederli. Nel caso delle banche centrali occidentali la scelta da fare è complessa. L’insorgenza dell’inflazione era iniziata ancora prima dell’invasione dell’Ucraina, ma poi si è rafforzata. Se la maggior inflazione fosse il frutto degli andamenti dell’offerta – i prezzi delle materie prime che salgono e dei colli di bottiglia nel campo della tecnologia e dei trasporti – allora un rialzo dei tassi servirebbe a poco, anzi rischierebbe di frenare la ripresa che stava prendendo forza dopo la pandemia. Se per il timore di sbagliare, perché l’inflazione è da offerta e non da domanda, le banche centrali occidentali non facessero nulla, o molto poco, e quindi se l’inflazione si mantenesse elevata nel tempo, si potrebbe avere lo stesso un forte impatto negativo sulla crescita, nel caso comparisse, come negli anni Settanta, la rincorsa fra prezzi e salari.
Torniamo ai dilemmi di Elvira Nabiullina. Sotto il peso delle sanzioni già applicate e delle eventuali sanzioni future – per esempio, la riduzione o l’annullamento degli acquisti di materie prime – l’economia russa entrerà in una forte recessione. Le stime che si possono fare sono molto poco precise, in quanto i mutamenti in corso sono troppo profondi, per cui si avrà una forte recessione, che si manifesta nell’isolamento finanziario dal resto del mondo, forse mitigato da un comunque limitato aiuto cinese.
Proviamo ad immaginare che cosa potrebbe fare un regime autocratico per mantenere un consenso politico. Il peso dell’aiuto alle famiglie costituisce già il 50 per cento del bilancio dello stato. Il reddito versato dallo stato alle famiglie è composto essenzialmente dalla spesa per le pensioni, e, in minor misura, per gli stipendi dei dipendenti statali. Questo trasferimento potrebbe aumentare anche molto per accrescere il consenso, e per tentare di mantenere invariato il tenore di vita della gran parte della popolazione. Le entrate dello stato russo in recessione saranno però inferiori, quantomeno per la parte degli introiti che non hanno origine dalle materie prime. Resta aperta la questione del finanziamento dello sforzo bellico. La conclusione è un bilancio pubblico in un deficit non modesto.
Nabiullina non si è piegata al populismo, parando le ripercussioni della politica sulla moneta. Sognava le dimissioni
L’espansione del bilancio pubblico in deficit, per acquisire il consenso della maggioranza della popolazione, e finanziare la guerra, potrebbe avvenire con una maggiore offerta di obbligazioni o di moneta. Escludiamo che l’estero voglia oggi comprare le obbligazioni russe. All’interno della Russia, se sono i privati a comprarle, allora la moneta defluisce dalle famiglie alle casse del Tesoro, e la quantità di moneta resta invariata. Se, invece, i privati russi non comprano le obbligazioni, arriva la Banca centrale, e qui torniamo al suo governatore, che deve comprarle, generando nuova moneta, che defluisce al Tesoro.
Appare quindi inevitabile uscire dall’ortodossia monetaria praticata da decenni – in Italia dal 1981, con il divorzio fra la Banca d’Italia e il Tesoro, e in Russia, che non prevede il finanziamento monetario del Tesoro. Abbiamo come primo assunto per avere un’uscita dall’ortodossia di un qualche successo che un’espansione monetaria del bilancio dello stato russo non generi un’inflazione fuori controllo, almeno in un primo periodo. Assunto tutto da dimostrare, visto che ancora prima dell’impatto dell’inflazione da immissione di moneta stiamo vedendo quella dovuta al venire meno di beni di importazione sanzionati. Abbiamo come secondo assunto la Russia che per effetto delle sanzioni può seguire delle politiche economiche non ortodosse, perché non può né vuole essere finanziata dall’estero, ciò che potrebbe avvenire solo conformandosi alle regole internazionali dalle quali si è stata e si è ultimamente sottratta.
Segue dai due assunti che la Banca centrale agirà come finanziatore del consenso politico che si manifesta come trasferimenti di reddito soprattutto pensionistico, e come finanziatore della guerra, o in maniera diretta, attraverso il finanziamento monetario del Tesoro, o in maniera indiretta, rendendo disponibili i notevoli mezzi del Fondo sovrano di cui ha la gestione. In altre parole, la governatrice, appena riconfermata in carica, dovrà sostenere la politica di espansione imperiale voluta dal Cremlino stampando moneta, cioè l’esatto contrario di quello ha sempre fatto. E si capisce allora il perché avrebbe chiesto inutilmente a Putin le dimissioni: dopo avere per anni salvato l’economia nazionale dalle derive populiste, ora deve finanziare una guerra che il Cremlino non può permettersi. Se non ci riesce, avrà distrutto il suo lavoro ventennale. Se ci riesce, rischia, come scrive il sociologo Grigory Yudin, di venire inserita nella lista dei “criminali di guerra” putiniani.