Il caso
La Russia e la battaglia dell'acciaio: il governo blocca l'export sui rottami ferrosi
Ecco Il primo passo verso l'economia di guerra, il ministro Giorgetti fa inserire il disincetivo nelle norme che riguardano il comparto siderurgico
Taranto. L’intervento sul disincentivo all’export di rottami ferrosi era saltato dalla prima bozza del decreto Ucraina bis presentato venerdì scorso in conferenza stampa da Draghi, perché avrebbe rappresentato, al netto di tasse e incentivi, la prima vera misura interna da economia di guerra per il nostro paese. Ma il ministro Giancarlo Giorgetti (Mise) lo aveva promesso a Federacciai la settimana scorsa quando si era recato nella sede di Feralpi a Brescia. E così la norma è stata inserita nel decreto pubblicato in gazzetta.
E’ l’articolo 30, che prevede l’obbligo di notifica almeno dieci giorni prima dell’esportazione fuori dall’Ue per le cosiddette materie prime critiche, pena una sanzione amministrativa del 30 per cento del valore. Ma mentre affida a un successivo dpcm il compito di definire queste materie sulla base della rilevanza per l’interesse nazionale e del pregiudizio che deriverebbe dall’esportazione, il decreto indica già tra queste i rottami ferrosi.
Per Federacciai è una conquista. L’Italia è prima al mondo per la siderurgia da forno elettrico, che costituisce l’84 per cento del comparto (è rimasta solo Ilva ad altoforno). “E’ un primo passo – ci dice Flavio Bregant, direttore generale di Federacciai – perché per la prima volta viene riconosciuto il rottame come risorsa strategica. La notifica è un disincentivo, il governo non poteva fare di più trattandosi norme comunitarie”. Secondo Bregant “ora sarebbe auspicabile che l’Europa seguisse l’esempio italiano. In ottica ambientale potrebbe tassare l’acciaio che viene da paesi che non utilizzano i nostri criteri di riduzione di CO2”. L’attacco russo in Ucraina ha causato un contraccolpo per la siderurgia italiana: dalla Russia e dall’Ucraina, l’Italia importa 2,5 milioni di tonnellate di materie prime siderurgiche e circa 3,5 come somma di semilavorati. Quanto alla ghisa, il governo ha deciso di intervenire chiedendo maggiore produzione all’Ilva a cui ha garantito con questo decreto maggiore liquidità, e attraverso una modifica impiantistica nel giro di qualche mese lo stabilimento di Taranto potrà, per la prima volta, fornire pani di ghisa alle acciaierie italiane. In tempo di guerra, se non autarchia, certamente filiera corta.