Il rebus
Le sanzioni alla Russia e le colpe vere o presunte dell'Occidente
Le sanzioni economiche sono l'unica arma politica che l'Occidente può usare nell'eventuale e auspicabile negoziato, ma se dureranno a lungo serviranno a poco e imporranno solo notevoli sofferenze ai russi. Un equilibrio complicato
In un precedente articolo su questo giornale, ho argomentato che le sanzioni alla Russia sono molto efficaci. Negli ultimi giorni molti analisti sono giunti alla stessa conclusione. Secondo l’Ocse le sanzioni stanno producendo una caduta del Pil di oltre il 10 per cento. Si tratta un vero e proprio lock down, come quello che l’Italia ha conosciuto nel 2020, con la differenza che potrebbe durare più tempo ed essere reso ancora più stringente. Ad esempio, dalle dichiarazioni di questi giorni sembra la Germania abbia piani credibili per liberarsi rapidamente dal gas russo; anche perché, a differenza dell’Italia, ha un basso debito pubblico e può permettersi di usare il bilancio dello stato per compensare la popolazione dai contraccolpi di questa politica.
La questione è se, oltre ad essere efficaci sul piano economico, le sanzioni sono utili sul piano politico. Una risposta ragionevole è che le sanzioni sono un’arma, forse l’unica, che possiamo giocarci ad un eventuale ed auspicabile tavolo negoziale. Perché ciò avvenga però dobbiamo sapere cosa vogliamo e far capire ai russi che le sanzioni verranno tolte quando si verificheranno determinate condizioni accettabili per il governo ucraino. Se invece le sanzioni sono destinate a durare, come è avvenuto dopo l’annessione della Crimea, esse saranno causa di notevoli sofferenze per la popolazione russa, ma serviranno a poco.
Peraltro, è difficile immaginare, almeno nel breve termine, che le sanzioni possano determinare la caduta di Putin. Pinelopi Golberg, cattedra a Yale ed ex capaeconomista della Banca Mondiale, sostiene che le sanzioni non hanno mai funzionato per cambiare i regimi: si vedano i casi di Cuba, Afghanistan, Iran, Venezuela, Corea del Nord. Sostiene inoltre che l’uso militare del potere commerciale, in particolare quello messo in atto da Trump nei confronti della Cina, stia avendo effetti deleteri sull’economia e sulla politica internazionale. Sull’economia, l’effetto è quello di mettere una pietra tombale sul multilateralismo e sulla globalizzazione. Sulla politica, l’argomento contro le sanzioni è che il libero commercio è un potente disincentivo alle guerre. Per converso, il parallelo con gli anni Trenta del secolo scorso ci dice che il protezionismo è l’anticamera della guerra.
Chi pensa in questo modo ritiene che, negli ultimi trent’anni, l’Occidente abbia fatto più che bene a cercare di trattare la Russia come un partner e non come un potenziale nemico. In fondo, anche negli anni dieci di questo secolo, mentre si affermava il potere del futuro autocrate, vi erano legittime speranze che la Russia si avviasse a diventare una democrazia, sia pure molto imperfetta. In quest’ottica non fu affatto un errore quello di includere la Federazione Russa nel G-8 (1997) e non furono sbagliati gli sforzi per migliorare la cooperazione, sul piano economico e anche militare, sforzi che trovarono un loro punto di approdo importante nel 2002 con l’accordo di Pratica di Mare; tanto più che dopo l’attacco alle Torri Gemelle e l’affermarsi dell’estremismo islamico anche in territorio russo, sembrava che ci potesse essere un naturale alleanza fra la Nato e la Federazione Russa contro il terrorismo.
Oggi è a tutti ovvio che questa politica ha fallito i suoi scopi, ma chi la difende argomenta che con una politica diversa la degenerazione del regime russo sarebbe stata ancora peggiore e più rapida. Si può concordare o no con questi argomenti. Essi però ci dicono che la questione è piuttosto complessa e che l’Occidente e, in particolare, l’Europa non hanno motivo di autoflagellarsi per aver fatto una politica di cooperazione con la Russia. Ciò che appare ovvio oggi, non lo era affatto dieci o vent’anni fa.
Però non possiamo esimerci da un pensiero autocritico per non aver capito cosa stesse succedendo in Russia, dopo l’invasione della Georgia nel 2008, l’annessione della Crimea e l’occupazione dell’ est dell’Ucraina nel 2014, l’intervento in Siria a difesa di Bashar al Assad, le interferenze nelle elezioni presidenziali americane nel 2016 e francesi nel 2017. Né possiamo far finta di non vedere che la Russia di Putin è riuscita a stabilire rapporti privilegiati e niente affatto trasparenti con molti politici europei, alcuni dei quali con tutta evidenza durano tutt’ora, malgrado le bombe che massacrano gli ucraini.