Fonti alternative
Il piano dell'Italia senza gas russo
Tempi, risorse e strappi. E se Putin chiudesse i rubinetti? Il governo ha un dossier anche per questo scenario
Ora corrono tutti, col portafogli in mano, dietro alle navi rigassificatore da affittare. Non ce ne sono proprio tante nel mondo e questo minuscolo mercato vede tanti governi in azione, compresi alcuni europei a rivaleggiare tra loro. Servono per i prossimi 18 mesi, se fossero case saremmo ancora nell’ambito dell’affitto breve. Ovviamente ce n’è bisogno per gestire il flusso di navi cariche di gas naturale liquefatto che arriveranno verso l’Europa, a partire da quelle americane per le quali si è impegnato lo stesso Joe Biden. Gli Usa sono diventati recentemente (per i tempi dell’economia dell’energia) esportatori di gas, ne producono circa 860 miliardi di metri cubi all’anno e ne esportano un centinaio. Finora l’Ue ne riceveva 35, ma l’impegno è per un aumento sostanziale, subito di altri 15 miliardi metri cubi per salire a 50, ed è bastato dirlo perché il prezzo del gas si desse una calmata. Ma, appunto, intanto tutti corrono a cercare gas dovunque sia possibile. I tedeschi, si dice, sono i più scatenati, per l’evidente strozzatura in cui si sono cacciati da soli con il pluridecennale investimento tutto sulla Russia. Quello stesso gas inopinatamente inserito tra i fossili da cui uscire al più presto ora è l’obiettivo di squadroni di negoziatori, mediatori, appaltatori europei. Un eccesso di lavorio in proprio che sta minando la possibilità di mantenere una quota rilevante di tutta l’operazione in capo a Bruxelles, malgrado gli sforzi di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea.
Il suo piano Repower Eu prevedeva una notevole capacità di azione comune, con anche impegni finanziari da mutualizzare. Insomma, un approccio intelligente e federale. Non si può dire che sia accantonato, ma sono i giorni in cui viene messo davvero alla prova. L’Italia lo vede di buon occhio ma lavora anche per far fronte a esiti diversi. Il rapporto con il Nordafrica e segnatamente con l’Algeria si è rafforzato, è diventato strategico, può trasformare l’Italia nel centro di smistamento europeo del gas africano. Ma le esigenze da tenere in considerazione sono due. Una riguarda l’inverno 2022/2023, l’altra gli anni successivi. I processi avviati rendono credibile il superamento totale della dipendenza vincolante dalla Russia e anche il raggiungimento di un’ampia platea di fornitori, a vantaggio della stabilità dei prezzi, per il 2024, ma l’anno prossimo è tutt’altra questione. Per l’anno prossimo l’Italia dovrebbe poter contare su due rigassificatori aggiuntivi, da cui arriveranno tra 10 e 12 miliardi di metri cubi. Per uno la trattativa è a un punto avanzato e non può arrivare nessuno a soffiarcelo, per l’altro siamo vicini alla sicurezza, in un mercato, come si diceva, nel quale ora si stanno scatenando un po’ tutti. Ci saranno da trovare poco meno di 20 miliardi di metri cubi, per i quali sono in negoziazione con buone probabilità di successo altrettanti contratti. Questo metterebbe l’Italia nella condizione di avere una certa sicurezza grazie ai rapporti con fornitori non solo in Algeria ma anche in altri paesi africani (Egitto e Congo in testa). Non è uno sgambetto al piano europeo, ma un modo per essere comunque garantiti. L’Italia è poi il secondo paese europeo per capacità di stoccaggio e quest’anno operativamente è stato il primo, con un riempimento tuttora al 30,1 per cento, di fronte a una media europea poco superiore al 25. Certo, ora, per la prima volta nella storia, i prezzi del gas a inizio primavera sono maggiori di quelli praticati durante l’inverno e perciò non è ancora consigliabile mettersi a riempire gli stoccaggi. Ma è una situazione che dovrebbe sbloccarsi. Con il pieno dei tubi sotterranei di stoccaggio ci sarebbe una garanzia in più per il superamento del cruciale inverno 2022/2023. Tutto questo va verificato di fronte alla possibilità che i russi chiudano i rubinetti. Evento possibile, ma molto improbabile, perché chiuderebbero, boutade sul rublo a parte, l’unica loro fonte di entrate finanziarie rilevanti. Ma, appunto, l’inverno prossimo sarà una prova anche della tenuta degli accordi europei di interconnessione, con cui si prevede che il gas possa fluire tra i paesi Ue. Di fronte all’attivismo un po’ egoistico di chi pensa solo ad accaparrare contratti, la posizione italiana potrebbe essere altrettanto poco altruistica, anche grazie all’attivazione di fonti africane da cui, assieme ai rigassificatori, verrebbe un discreto margine di sicurezza e che andrebbe a crescere, con la piena autonomia nazionale nel giro di tre anni. E’ la politica europea che deve scongiurare questo ripiegamento nazionale, ma lo può fare offrendo soluzioni coraggiose e impegnandosi finanziariamente, non solo a parole.