I no sull'energia che ci hanno resi ostaggio di Putin. Ripasso
Non c’è latitudine a cui non sia scoppiata, non c’è partito che non l’abbia combattuta: l'opposizione agli impianti energetici ci è costata cara in termini di soldi e libertà. Ora non possiamo più permettercelo
Per una strana ironia della sorte, le schiere dei sovranisti, dei lottatori per l’indipendenza italiana, degli spezzatori di catene di Bruxelles, adesso invocano la pace con Putin “che altrimenti ci lascia senza gas”, quasi compiacendosi del nostro asservimento energetico – e forse anche politico – al tiranno straniero. Ma gli autoproclamati sovranisti, negli ultimi anni, hanno fatto la loro parte nel sabotare qualsiasi alternativa alla dipendenza dal metano russo, come del resto gli autoproclamati progressisti, gli autoproclamati moderati e gli autoproclamati verdi. Dei 30 miliardi di metri cubi di metano che importiamo ogni anno da Mosca, una decina era sostituibile sfruttando a pieno i giacimenti in territorio italiano e in acque italiane, mentre un’altra decina sarebbe venuta dai giacimenti di Cipro e Israele attraverso il sistema Poseidon-Eastmed. Il primo progetto iniziò a tramontare con la propaganda anti-trivelle (che poi era in ultima analisi anti-Renzi) per poi schiantarsi definitivamente contro un sibillino “Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee”. Il secondo fu abortito nel 2019 dal governo del Popolo.
Altre speranze venivano dai rigassificatori, rimasti però sulla carta a Gioia Tauro, a Porto Empedocle, a Brindisi. Per non parlare dei biodigestori per trarre gas dai rifiuti umidi e agricoli, finiti sotto attacco e mai costruiti in decine di località, dal golfo di Napoli a quello della Spezia. Solo il Tap, fra tanti progetti, è riuscito a vedere la luce. Troppo poco, troppo tardi. Certo, si potrebbe obiettare che anche con altri fornitori di metano potremmo ritrovarci ai ferri corti per questioni di sicurezza o di diritti umani. Qatar, Algeria, Azerbaijan potrebbero un giorno finire sotto pressione occidentale proprio come ci è finita la Russia.
In generale, la metanexit è una necessità di medio periodo per motivi politici oltre che ambientali: peraltro, se per riscaldarci il perfido gas è quasi insostituibile, per produrre elettricità non è il massimo dell’efficienza. Purtroppo, però, in Italia la guerra contro le fonti rinnovabili è persino più feroce di quella contro il metano. Non c’è latitudine a cui non sia scoppiata. Non c’è partito che non l’abbia combattuta. Sotto le insegne del Pd, Emiliano e Bonaccini si sono scagliati contro l’eolico marino, mentre Zingaretti ha congelato le autorizzazioni per gli impianti a sole e a vento sul suolo laziale. Misura adottata anche in Abruzzo e Calabria dalla destra, che ora ci sta pensando in Friuli e già una dozzina di anni fa ci ha provato in Piemonte. In Sardegna le centrali solari termodinamiche non sono state fatte con la scusa che (sic) spaventavano le pecore. Non parliamo dei Cinquestelle, sempre con lo scolapasta in testa contro qualsiasi impianto, a partire da quelli che avrebbero trasformato in energia la monnezza di Roma. E poi c’è la guerra d’attrito, quella mossa da sovrintendenze, procure e burocrati, che frenano e ritardano l’opera finché sul lungo periodo non sfuma del tutto. E dire che i tempi di realizzazione, di per sé, sarebbero rapidi: di solito quattro mesi per montare i pannelli e sei per montare le pale. Se un Parlamento illuminato imponesse il principio di silenzio-assenso per le autorizzazioni, o comunque aprisse una corsia preferenziale simile a quelle per far fronte ai disastri naturali, di qui a fine anno potremmo avere una potenza rinnovabile di tutto rispetto (c’è chi la stima in 60 GW).
Nell’ultimo decennio noi italiani abbiamo vissuto in preda a un’allucinazione: il prezzo dell’energia era basso, i dittatori ostili non ci ricattavano, i politici locali potevano dire di “no” a tutto perché il costo era apparentemente zero. Ora quell’illusione si è dissolta. Ogni “no” ha un prezzo salatissimo, in termini di soldi e di libertà. E’ ingiusto che qualcuno ci costringa ancora a pagarlo per ideologia o per convenienza elettorale. Va trovata una soluzione perché non accada più.