I video di trattori ucraini che tirano una serie di attrezzature militari russe "sequestrate" sono diventati virali 

Putin semina bombe in Ucraina e il mondo raccoglierà fame

Luciano Capone

I missili sui depositi di carburante, la stagione della semina a rischio, il blocco dei porti da cui si esporta il grano. L'attacco strategico all’agricoltura colpisce gli ucraini, ma produrrà dai 7 ai 13 milioni di denutriti in Asia e Africa

Sarà perché in Ucraina è ancora viva la memoria dell’Holodomor, la terribile carestia del 1932-33 indotta dall’Unione sovietica di Stalin che produsse dai 3 ai 5 milioni di morti, ma hanno suscitato molto allarme gli attacchi russi contro depositi di petrolio e carburante. Per i russi si tratta di obiettivi militari, ma la mente degli ucraini è inevitabilmente andata alla strategia staliniana dell’uso della fame per piegare la resistenza degli ucraini. “Sei missili a Lviv (Leopoli) hanno colpito un deposito petrolifero – ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un’intervista tre giorni fa, ad alcuni giornalisti russi – Sanno che questa è la stagione della semina”. Il giorno seguente un attacco analogo ha distrutto un altro deposito nell’oblast di Rivne.

 

La strategia russa punta a colpire l’agricoltura ucraina, che dipende fortemente dall’import di carburante fornito al 70% proprio da Russia e Bielorussia, ma rischia di produrre gravi ripercussioni sulla sicurezza alimentare globale. L’Ucraina sta cercando di prendere delle contromisure. Lunedì Zelensky ha annunciato che il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev si è reso disponibile a fornire all’Ucraina carburante per la semina. Ma la situazione resta complicata.

 

Secondo un report della Fao sulla sicurezza alimentare, nel 40% delle regioni ucraine si prevede scarsità di cibo da ora a tre mesi. “Nel 20-30% delle aree coltivate con cereali, mais e girasole non ci sarà il raccolto o la semina questa primavera. Le rese risentiranno negativamente anche della mancanza di fertilizzanti e pesticidi”. Sempre secondo la Fao solo il 20% delle aziende agricole ucraine ha il carburante per la semina, ma oltre alla benzina mancano il 42% dei semi, il 40-60% di fertilizzanti, il 70 per cento di pesticidi. E si ridurrà anche il terreno disponibile per la coltivazione, visto che circa il 50% dei campi destinati al grano che dovrà essere raccolto in estate si trova in zone occupate o di guerra. A questi elementi andrà aggiunta la scarsità di lavoratori, visto che ci sono oltre 10 milioni di sfollati di cui 4 fuggiti all’estero.

 

Ma le ripercussioni saranno globali. L’Ucraina esporta a livello mondiale il 10% del grano, il 14% del mais, il 17% dell’orzo e il 51% dell’olio di semi di girasole. L’export è già crollato dato che i porti ucraini sul Mar Nero, sbocco logistico fondamentale per il mercato estero, sono stati tutti chiusi perché bloccati o bombardati dalla marina russa. Inoltre parte del grano immagazzinato è già andato perso per i bombardamenti. A risentirne saranno i paesi del medio oriente e del nord Africa, che maggiormente dipendono dall’export ucraino. Il Libano riceve dall’Ucraina due terzi del suo import di grano; la Tunisia la metà; l’Etiopia un terzo. E così tanti altri paesi in cui una crisi dei prezzi alimentari può produrre instabilità sociale e politica, come è accaduto con le Primavere arabe del 2011.

 

L’aumento dei prezzi sarà globale e riguarderà tutti, ma in alcuni paesi, quelli più poveri, si trasformerà in scarsità di cibo. Secondo uno studio di Algebris, un dimezzamento delle importazioni di grano dall’Ucraina “ridurrebbe le calorie alimentari giornaliere di circa il 30% in Libano, e quasi del 20% in Indonesia, Tunisia e Thailandia”. Secondo le stime della Fao, a livello globale ci saranno da 7,6 a 13,1 milioni di persone denutrite in più, particolarmente concentrate in Asia-Pacifico, nell’Africa subsahariana e in Nord Africa. Anche questo è un crimine contro l’umanità prodotto dalla guerra di Putin.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali