Tim e Generali: dove c'è competizione il titolo va. Parlano due analisti
Due storie diverse con un rilievo strategico per l'Italia: in entrambi i casi la contesa tra i soci determinerà le sorti delle due società. Il ruolo dei fondi istituzionali
Era attesa per ieri sera la risposta di Kkr al board di Telecom in cui, in sostanza, il fondo americano ribadisce di voler fare una due diligence prima di formalizzare l’offerta per il 100 per cento della compagnia telefonica. In caso contrario, Kkr deciderà di ritirarsi dalla partita e per il mercato verrebbe meno la prospettiva del lancio di un’opa a premio per tutti gli azionisti insieme a una possibile via d’uscita per Telecom dalla situazione ingarbugliata in cui si trova. Se le cose andassero davvero così, gli investitori istituzionali, che nella società guidata da Pietro Labriola, rappresentano quasi il 45 per cento, avrebbero la certezza che la loro voce conta poco.
Nei giorni scorsi era stato il fondo Kairos di Guido Maria Brera a scrivere al board di Telecom chiedendo di aprire la data room a Kkr, che aspetta una risposta da cinque mesi. Invece, ha preso piede il piano dello spezzatino casalingo di Telecom con i fondi di private equity (Cvc, ma anche Apax e Bain) che fanno la fila per accaparrarsi singoli asset o business, ma si tengono alla larga dal dossier più sensibile che è quello della rete. “E’ evidente che Telecom è prigioniera del suo passato e che sulla società c’è ancora una pesante influenza dello stato, che ne impedisce di fatto l’evoluzione”, dice al Foglio Filippo Alloatti, head of financials della divisione internazionale di Federated Hermes, gruppo d’investimento americano con 700 miliardi di dollari di masse gestite nel mondo. “Dopo anni stiamo ancora discutendo della proprietà della rete, ma intanto non si capisce quale sia il futuro della società telefonica e questa situazione di stallo-confusione è vista con occhio critico dagli investitori esteri, che spesso fanno fatica a seguire le dinamiche italiane. Per fortuna, non è sempre così. In un’altra partita finanziaria chiave, quella per il controllo di Generali, chi vincerà all’assemblea di aprile sarà anche chi comanderà in futuro e porterà avanti il suo programma”.
Alloatti ragiona in parallelo su Telecom e Generali, che sono due storie diverse in quasi tutto, compreso il business, maturo e complicato quello telefonico e redditizio quello assicurativo, ma hanno in comune di avere rilievo strategico per l’Italia (una ha in pancia l’infrastruttura di rete e l’altra una fetta rilevante di Btp italiani) ed entrambe si trovano al centro di una contesa tra soci che ne determinerà le sorti. Tutte e due le società, inoltre, vedono una forte partecipazione al capitale di fondi istituzionali (35 per cento Generali, 45 per cento Telecom), che sono destinati a diventare l’ago della bilancia nello scontro finale che si avvicina tra Mediobanca-Donnet, da un lato, e Caltagirone-Del Vecchio, dall’altro (anche se nella partita Generali rischiano di essere decisivi i voti presi in affitto da Mediobanca, pari al 4,4 per cento, pratica definita “dubbia” dal Wsj la scorsa settimana). Mentre nella vicenda Telecom sono stati relegati al ruolo di spettatori complice la sensibilità che il dossier riveste nella sfera politica. Ma tutto a un prezzo e il diverso peso del mercato fa sì che negli ultimi sei mesi Generali abbia guadagnato il 15 per cento in Borsa e Telecom abbia perso il 5 per cento, pur conteggiando la grande fiammata del titolo a cavallo tra fine novembre e dicembre, quando Kkr avanzò la sua proposta non vincolante di 0,55 centesimi per azione (oggi il titolo viaggia intorno a 0,30).
Ma se Telecom è così inavvicinabile perché tanti fondi e investitori si sono fatti avanti? “Perché ne percepiscono il valore potenziale, che risiede soprattutto negli investimenti che il Pnrr farà nel settore digitale aprendo nuove possibilità nei rapporti tra l’ex monopolista e la pubblica amministrazione – osserva Antonio Amendola, fund manager di AcomeA sgr – Ma è questo il punto: Telecom non riesce a spiegare al mercato come intende sbloccare il suo valore e lascia che tutto il dibattito si focalizzi sulla rete. A fare davvero la differenza tra Telecom e Generali è il loro passato e la diversa percezione delle nuove sfide che si preparano ad affrontare. La società telefonica non ha mai fatto bene in termini di gestione e in questo il piano Labriola non fa passi in avanti”. Per contro, secondo Amendola, Generali, pur vivendo in una dimensione diversa da quella di Telecom, è al centro di una contesa all'interno della quale alcuni soci “chiedono che faccia ancora meglio” attraverso un piano molto sfidante che punta convincere proprio gli investitori istituzionali per prevalere in assemblea. E' la competizione, bellezza.