Il gas italiano resta sotto terra: è l'eredità del grilloleghismo energetico
Mentre si cercano alternative al metano di Putin, il ministero della Transizione ecologica boccia le richieste di esplorazione in Italia per una norma approvata nel 2019: A rischio anche i giacimenti già attivi
Cerchiamo più gas per fare a meno di finanziare la guerra di Putin, ma non possiamo usare quello si trova nei giacimenti in Italia. In una sola settimana il ministero della Transizione ecologica guidato da Roberto Cingolani ha respinto 37 richieste presentate dagli operatori petroliferi tra il 2004 e il 2009 per cercare nel sottosuolo italiano gas e petrolio, come riporta la testata Staffetta Quotidiana. Risorse indispensabili oggi più che mai per garantire la sicurezza energetica del paese, alle prese con l'affannosa ricerca di fonti fossili per sostituire quelle che importiamo da Mosca, mentre l'Unione europea discute di chiudere i rubinetti attraverso cui viaggiano gas e petrolio russi.
In piena crisi dell'energia, in Italia rispuntano come boomerang gli scheletri nell'armadio del grilloleghismo energetico. Il motivo dei "no" a questi progetti è legato infatti al Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), approvato dal Mite lo scorso febbraio, un fardello per l'ormai impossibile indipendenza energetica del paese, lasciato in eredità dal governo Conte 1 nel 2019. All'epoca M5s e Lega approvarono una moratoria all'estrazione di gas e petrolio in attesa di definire una mappa che chiarisse dove è possibile condurre questi progetti e dove invece è vietato, il Pitesai, appunto. Risultato: secondo l'associazione degli operatori del settore, Assorisorse, che ha svolto una puntuale analisi pubblicata oggi, dal punto di vista esplorativo saranno revocati 42 titoli su 45 (tra istanze e permessi di ricerca), portando di fatto "all’azzeramento delle attività future, sia a terra che a mare".
Non solo. Il piano colpisce anche le concessioni già attive. "Relativamente alle 123 concessioni minerarie, di cui 108 relative al gas, oltre il 70 per cento ricade in aree definite come "non idonee", limitando fortemente le prospettive di produzione per effetto delle incertezze sulla possibilità di effettuare nuovi investimenti. Di queste concessioni, 20 saranno revocate e 45 saranno soggette a verifica per stabilire il prosieguo o meno delle attività", si legge nella relazione di Assorisorse.
Un quadro paradossale se visto alla luce delle parole del premier Mario Draghi, che solo due giorni fa, per spiegare la complicata posizione in cui si trova il paese per via della dipendenza da Mosca chiedeva: "Preferite la pace o i condizionatori accesi?".
Con il decreto Energia il governo ha stabilito che le estrazioni di gas dovranno essere intensificate per aumentare la produzione nazionale, ma i piani dettati oggi dall'emergenza si infrangono sulle regole stabilite tre anni fa. Senza una deroga al Pitesai buona parte del gas nazionale è destinato a rimanere sotto terra. Ma servirebbe un intervento politico, mentre sembra esserci una parte del Parlamento che non ha capito bene cosa sta succedendo dal punto di vista del’energia. Con il rischio che i condizionatori – per non dire la produzione industriale – finiscano per dover essere spenti.