Quanto costa all'economia italiana rinunciare al gas russo, secondo Bankitalia
Se il nostro paese smettesse di comprare metano da Mosca, il pil sarebbe negativo per i prossimi due anni e l’inflazione resterebbe alta. Ma l’attivismo energetico del governo italiano potrebbe migliorare la situazione
Le parole di Draghi “preferiamo la pace o l’aria condizionata tutta l’estate” hanno indicato che il tentativo europeo di fermare l’invasione russa dell’Ucraina avrà un costo anche per chi, come noi italiani, vive molto distante dalle zone del conflitto. Quattro pacchetti di sanzioni non hanno sufficientemente indebolito l’economia russa da spingere Putin a interrompere le attività militari. Per questo la rinuncia ai beni energetici – l’arma più potente per minacciare Mosca – è ogni giorno più probabile. Almeno in Italia, infatti, il tabù su gas e petrolio russo sembra ormai essere caduto: come anticipato dal Foglio, il governo sta lavorando per farsi trovare preparato.
Banca d’Italia ha provato a calcolare il costo che tale rinuncia potrebbe avere per l’Italia. Nel Bollettino economico, pubblicato venerdì, sono esaminate le conseguenze macroeconomiche per l’Italia della guerra in Ucraina in tre scenari illustrativi in base al protrarsi della guerra. Tra questi, ce n'è uno che simula cosa succederebbe in caso di “un arresto delle forniture energetiche” russe per via del “prolungarsi delle ostilità”. Lo scenario prevede che l’interruzione dei flussi di gas naturale dalla Russia duri un anno, cominci a maggio e sia compensata per circa due quinti entro la fine del 2022, senza intaccare le riserve nazionali di metano ma aumentando il gas da altri fornitori.
Per l’Italia, che nel 2021 ha importato 29 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia (pari a circa il 40 per cento dei consumi nazionali), l’impatto sarebbe notevole: “Il pil diminuirebbe di quasi mezzo punto percentuale sia quest’anno sia il prossimo. L’inflazione si avvicinerebbe all’8 per cento nel 2022 e scenderebbe al 2,3 per cento nel 2023”. Effetti negativi ci sarebbero anche il commercio con l’estero. La domanda estera dell’Italia, infatti, si ridurrebbe “di circa 2,5 punti percentuali nel biennio 2022-23”. Anche il settore produttivo ne risentirebbe con “effetti indiretti” che colpirebbero i settori più a valle delle filiere. Pur senza offrire cifre precise, secondo Banca d’Italia diminuirebbero anche i livelli di occupazione, reddito e domanda aggregata.
È sempre bene ricordare (e lo fa più volte anche il documento) che non si tratta di previsioni, ma di scenari. Ovvero non ci si esprime sulla probabilità con cui il blocco delle forniture di gas potrebbe accadere, ma si prende atto dei possibili effetti che questa situazione, qualora avvenisse, potrebbe creare.
Inoltre, questo scenario si basa su condizioni statiche, ma ci sono variabili su cui il governo sta lavorando molto attivamente. Lunedì prossimo, il premier Mario Draghi si recherà di persona ad Algeri, dove incontrerà il presidente dell’Algeria Abdelmadjid Tebboune per cercare di incrementare il flusso di gas del Transmed, il gasdotto che raggiunge la Sicilia dopo aver attraversato l’Algeria e poi la Tunisia. Si potrebbe inoltre aumentare fino a 1 miliardo di metri cubi la produzione nazionale. Nemmeno l’Europa è immobile: a fine marzo è stato chiuso un accordo con gli Stati Uniti per ottenere ulteriori 15 miliardi di metri cubi gas naturale liquefatto (Gnl), che potrebbero aumentare in futuro. Anche il Qatar, altro grande produttore mondiale di Gnl, potrebbe ampliare le forniture.
Mentre Stati Uniti e Regno Unito già l’otto marzo hanno scelto di rinunciare al gas e al petrolio russo, l’Unione Europea continua a rimandare questa scelta, specie per la forte resistenza del governo tedesco. Il realismo con cui Draghi si è espresso mercoledì e i molti dossier energetici a cui l’esecutivo sta lavorando lasciano però intendere che l’Italia non solo sia stanca di comprare il gas russo, finanziando la guerra in Ucraina, ma sia anche sempre più pronta a rinunciarsi. Nonostante i costi potrebbero essere alti.