produrre in guerra
ArcelorMittal riapre in Ucraina sotto le bombe, all'Ilva si va in Cigs
Lo stabilimento nell'oblast di Dnipropetrovsk riaccende gli altiforni, lo chiede l'Ucraina. Più facile produrre sotto i missili che a Taranto
ArcelorMittal riparte dall’altoforno 6 in Ucraina. Il colosso mondiale della siderurgia ha deciso di riaccendere l’acciaieria di Kryvyi Rih, nell’oblast di Dnipropetrovsk, per rispondere alla chiamata del governo di Kyiv che la settimana scorsa aveva invitato la società a considerare la possibilità di riavviare la produzione. ArcelorMittal aveva chiuso lo stabilimento il 3 marzo per garantire la sicurezze di beni e persone, mantenendo l’integrità dagli altiforni. Ora Mauro Longobardo, amministratore delegato di ArcelorMittal in Ucraina, è tornato in fabbrica pronto a farla ripartire, perché lo chiede il paese. Ad annunciarlo direttamente Lakshmi e Aditya Mittal, presidente e direttore generale della multinazionale, con una lettera ai dipendenti che è piena di consapevolezza ma anche di responsabilità. “Prima di tutto - hanno scritto nella nota – vogliamo ribadire l’eccezionale forza del popolo ucraino nella difesa del proprio paese. Sotto la guida dell’instancabile presidente Zelensky, gli ucraini mostrano forza, coraggio e unità e dimostrano che loro, e non nessun altro, sceglieranno il futuro dell’Ucraina”.
I vertici del colosso siderurgico definiscono “eroi” i tre lavoratori dell’azienda che sono morti in battaglia, e non nascondono che in tutta la multinazionale non riescono a immaginare come possano sentirsi i colleghi ucraini, in particolare le 1.200 persone chiamate a combattere per il proprio paese nell’esercito o come volontari. “Negli ultimi giorni sono diventati noti i dettagli delle atrocità più terribili. Ma gli ucraini sono determinati e convinti che, ove possibile, insieme alle battaglie, la vita dovrebbe continuare. Comprendiamo che in caso di una lunga guerra, una semplice cessazione del lavoro non aiuterà l’Ucraina. Il paese e la sua gente devono sperare e credere che l’impresa possa continuare a lavorare, produrre beni e fornire ai suoi cittadini lavoro e sostentamento”.
Anche durante la guerra l’acciaieria deve funzionare, perché solo così si mantiene l’economia del paese e si preserva la sua capacità produttiva: con il coraggio dei lavoratori, la speranza delle loro famiglie, e la forza dell’acciaio. La tempra del presidente Zelensky abbiamo imparato a conoscerla in queste settimane, ma accanto a lui si schierano anche Lakshimi e Aditya Mittal, per cui è risultato più semplice produrre in Ucraina sotto le bombe che in Italia a Taranto. I Mittal due anni fa erano seduti intorno a un tavolo per discutere dell’Ilva con l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che gli diede il benservito.
E mentre Zelensky ha il coraggio di chiedere ai Mittal di tornare a produrre acciaio anche sotto le bombe per salvare insieme il paese, Conte ebbe il coraggio di cacciarli, non prima di essersi fatto fotografare nel regalargli una copia del suo libro “L’impresa responsabile”. La stessa foto che con i Mittal si fece in comune il sindaco di Taranto, prima di presentare contro di loro ricorsi e ordinanze di chiusura. E così i Mittal, dopo la norma che toglieva lo scudo penale e mentre la procura di Taranto ordinava lo spegnimento dell’Afo2, decisero di abbandonare l’Italia preferendo spostare quell’investimento a Fos-sur-Mer, vicino Marsiglia, con grande accoglienza del governo francese.
Eppure oggi il presidente Mario Draghi chiede ad Acciaierie d’Italia di aumentare la produzione a Taranto dato che tra l’embargo dell’acciaio dalla Russia, l’import ucraino bloccato e l’aumento dei prezzi delle materie prime, le acciaierie del nord Italia che lavorano da rottami o semilavorati sono ferme. E pertanto solo Ilva, che è uno stabilimento siderurgico a ciclo integrale, può in autonomia rifornire e mantenere tutta la filiera, anche con la ghisa. Per questa ragione Draghi aveva annunciato un provedimento ad hoc per aumentare la produzione, e già nel decreto Ucraina bis ha inserito una garanzia Sace per Ilva. Ma nelle stesse ore al ministero del Lavoro si riuniva il tavolo per mettere in cassa integrazione 3 mila lavoratori, un accordo che i rappresentanti dei lavoratori non hanno firmato. Oggi i sindacati chiedono di spostare la trattativa dal ministero del Lavoro a quello dello Sviluppo economico, perché quello dell’acciaio deve essere un piano industriale, non di cassa integrazione. L’11 aprile migliaia di lavoratori ucraini torneranno a produrre acciaio sotto le bombe, mentre in Italia 3 mila lavoratori resteranno a casa a guardarle in tv.