Le conseguenze della guerra

L'impatto del taglio del gas russo non è alto, ma servono altre politiche per creare un consenso

Giorgio Arfaras

Numeri alla mano, sembra che l’embargo non costi troppo all’Ue. Ma l’energia è un elemento critico della produzione, per questo va gestita la compensazione

L’aggressione dell’Ucraina avrà un impatto economico che, da qualche settimana, si prova a stimare. Nel caso russo la previsione è di una caduta del pil nell’ordine del dieci per cento, nel caso dell’Europa di un caduta, ma solo nel peggiore dei casi, nell’ordine di pochi punti percentuali. La previsione sull’Ucraina, invece, non è possibile per le troppe distruzioni che sta subendo. Le previsioni dipendono da molti fattori, dall’impatto delle sanzioni, da come finirà lo scambio di materie prime non rinnovabili, nonché, la variabile cruciale, dalla durata della guerra. La previsione finisce così per dipendere da fattori che non hanno una storia pregressa cui rifarsi, e questo la rende ancora più controversa.
Serve tentare lo stesso una previsione per poi agire di conseguenza? Sì, perché altrimenti finirebbero per prevalere non le previsioni, per quanto imprecise, ma le predizioni. Queste ultime sono le protagoniste dei talk show. Annunciano una crisi drammatica, quando si morirà di freddo, quando la benzina costerà cifre impossibili, quando il prezzo degli alimenti esploderà, quando le fabbriche saranno chiuse e la disoccupazione dilagherà. Con le predizioni che annunciano la catastrofe trae alimento l’idea che è meglio se l’Ucraina si arrende, perché la scelta di stare dalla parte degli aggrediti è per gli europei troppo onerosa, ma lo è anche per gli ucraini, dal momento che, non venendo aiutati, saranno sconfitti dalla potenza maggiore. Vale il contrario con le previsioni che, mostrando un sacrificio modesto per gli europei, giustificano lo stare dalla parte degli ucraini. Le predizioni e le previsioni portano così a conclusioni politiche e militari opposte.
 Abbiamo due previsioni, una sulla Germania (Vox.eu, “What if Germany is cut off from Russian energy?”), e una sull’Europa, con riferimento particolare alla Francia (Conseil d’analyse économique, “The Economic Consequences of a Stop of Energy Imports from Russia”). Le due previsioni tengono conto della reazione dell’economia allo choc simulato. Le predizioni, che annunciano la catastrofe, invece, non tengono conto della reattività dell’economia; per loro arriva lo choc ma poi nulla si muove, come accadde ai dinosauri di fronte all’asteroide. Le due previsioni provano a stimare le reazioni dell’economia anche perché l’esperienza degli ultimi due choc, quello di Fukushima e quello del Covid, conforta, in quanto mostra che l’economia reagendo riesce a contenerne gli effetti negativi.


Il punto di partenza delle due previsioni è la stima dell’impatto che avrebbe il taglio delle importazioni di gas russo. Perché il taglio del gas e non anche il petrolio e il carbone russi? L’offerta di queste due materie prime non rinnovabili è, a differenza del gas, abbastanza elastica, perciò le forniture possono arrivare velocemente da molti paesi e così compensare l’offerta russa. L’offerta di gas, invece, è rigida, e quindi uno choc che la coinvolge è più pericoloso, perché non la si compensa facilmente. Non solo l’offerta è rigida, ma la vendita del gas all’Europa è una fonte maggiore di reddito per la Russia sia in termini assoluti sia in rapporto al reddito che ricava dal petrolio e dal carbone. Quindi il gas è pericoloso per l’Europa e cruciale per la tenuta dell’economia russa.
L’evento di partenza delle due previsioni è quindi il taglio delle forniture di gas russo. La decisione prossima da prendere in Europa deve partire dallo scenario più difficile da gestire. Un eventuale taglio degli acquisti di petrolio e carbone russo è, alla fine, solo il preludio di un eventuale taglio del gas. Che il taglio del gas avvenga per volontà europea o russa non è specificato nelle simulazioni, perché interessa lo choc e non l’origine dello stesso.  


Il gas russo è nella simulazione tagliato ed ecco che l’economia europea reagisce cercando delle fonti alternative di approvvigionamento e di risparmio. Nel breve termine si ha una parte del gas che arriva da paesi terzi, si ha il gas che è risparmiato perché consumato con parsimonia, si ha l’uso temporaneo del carbone. La reazione di lungo termine, come il ritorno eventuale dell’energia nucleare, nonché l’ulteriore diffusione delle energie non rinnovabili non è simulata, perché quel che interessa è capire che cosa succede nell’immediato, perché è nell’immediato che va presa una decisione. Infine, non si stima in prima facie alcun intervento della politica economica, perché lo scopo della previsione è isolare l’effetto dello choc dell’offerta del gas.
 

Partiamo dai numeri. Il gas è un quarto del consumo totale di energia tedesco. Il quale ha un’origine sia interna, come l’energia rinnovabile e le centrali nucleari, sia estera. E il gas russo è circa la metà del fabbisogno tedesco di gas. Quindi il gas russo è la metà di un quarto del fabbisogno di energia tedesco. Il gas è il quindici per cento del consumo totale di energia francese che ha un’origine sia interna, come l’energia rinnovabile e le centrali nucleari, sia estera. E il gas russo è circa un quinto del fabbisogno francese di gas. Quindi il gas russo è un quinto del quindici per cento del fabbisogno di energia francese.
La previsione sul taglio del gas russo parte da questi numeri, che, come si vede, non sono agghiaccianti, come quelli che uno ascolta nei talk show. I numeri dei talk show sono in genere mostrati come tali e non messi in rapporto ad altri numeri per contestualizzarli. Se mettiamo i numeri appena mostrati in un contesto ampio, emerge che le importazioni di gas sono meno dell’uno per cento dell’economia francese, e poco più dell’uno per cento di quella tedesca. I numeri dell’Italia non sono diversi.

 

Delle quote di importazione così piccole in rapporto all’economia nel suo complesso spingono a pensare che lo choc dovrebbe essere anch’esso piccolo. Il ragionamento di prima facie è però sbagliato, perché l’energia è un elemento critico della produzione, è un input difficile da sostituire, e quindi può creare degli effetti di amplificazione molto grandi la cui entità finale dipende dall’elasticità di sostituzione del gas nei diversi momenti della catena produttiva. Questa elasticità di sostituzione tra gli input energetici e altri input dipende da come sono integrati i settori, dalla catena di approvvigionamento, dalla tecnologia disponibile, dalla mobilità del fattore lavoro e del fattore capitale, da come i consumatori finali sceglieranno tra i molti beni che differiscono per intensità energetica.
Partendo dai numeri energetici, e tenendo conto della reazione dell’economia che si avrebbe per le succitate elasticità, si ricavano le stime dell’impatto del taglio del gas russo. I numeri aggregati sono sorprendentemente modesti. Si va da delle variazioni negative molto modeste, anzi quasi nulle, fino allo scenario peggiore. Quest’ultimo simula per la Germania, che, fra le economie maggiori, è la più dipendente dal gas russo, una caduta fino al tre per cento. Un numero inferiore a quello sperimentato ai tempi del Covid, e che non ha certo reso la Germania miserabile. Si tenga, infine, presente che non è simulata alcuna reazione della politica economica.
 

Tutto bene si potrebbe dire. Si tagli allora il gas e si aiuti l’Ucraina! Non è però semplice trovare un consenso che sia diffuso, perché si hanno delle frizioni di varia origine che spiegano perché non si sia materializzata una corsa per tagliare il gas russo.
L’impatto macro economico in Europa del taglio del gas è minuscolo, ma l’impatto è distribuito in misura diversa. Per alcune imprese il peso del gas è formidabile, per altre modesto, per altre quasi nullo. Dal che si deduce la ragione per la quale non sono pochi quelli che non vogliono rinunciare al gas. Temono una crisi che potrebbe durare fino a quando una sostituzione completa del gas russo non sia andata a buon fine. Non potendo sapere non solo quanto durerà la transizione e neppure se per loro si concluderà con successo, vedono i rischi. 
L’impatto macro economico del taglio del gas non è distribuito allo stesso modo fra i paesi europei. Chi apparteneva all’area di influenza europea dell’Urss, ossia i paesi dell’ex Patto di Varsavia, è ancora molto legato, se non del tutto dipendente, dalla fornitura di gas russo. Per questi paesi un taglio degli acquisti di gas darebbe luogo a una flessione economica di non modesta entità. Una flessione simile a quella della peggior simulazione sulla Germania, quindi, nella media di questi paesi, intorno a un tre per cento. Nulla di drammatico, non fosse che questi paesi non hanno la ricchezza tedesca come paracadute..
 

La presenza di frizioni renderanno necessarie delle misure di politica fiscale per far fronte agli impatti asimmetrici dello choc del taglio delle forniture di gas russo. Politiche per attutire lo choc che sarà di molto maggiore in alcuni settori, come quello chimico. Politiche di distribuzione del reddito per alleviare lo choc per le famiglie più colpite. Oltre a queste misure sarà necessario mettere in opera degli incentivi. Il maggior prezzo dell’energia spinge alla trasformazione tecnologica più del suo congelamento. Ergo, il prezzo andrebbe lasciato in qualche misura libero di fluttuare, mentre si aiuta chi è in difficoltà. Infine, potrebbe diventare necessario il salvataggio delle imprese legate all’uso intensivo del gas il cui fallimento potrebbe riverberarsi sul sistema bancario con danno per tutti.

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