risiko bancario
Tutte le mire su Bpm
La banca scivola in Borsa per il timore che vada in porto il blitz dell’Agricole. E arriva il fondo israeliano
Le grandi manovre su Banco Bpm turbano la politica, ma piacciono agli investitori internazionali. Ieri la ex popolare milanese è scivolata in Borsa per il timore che il blitz del Crédit Agricole provochi qualche mal di pancia in alcuni ambienti governativi, dove non si è mai spenta l’eco della relazione del Copasir del 2020 che gridava all’invasore francese. Ma secondo la maggior parte degli analisti, l’istituto resta centrale nel risiko bancario italiano che sta entrando in una nuova fase. Tanto più che mentre l’attenzione pubblica è concentrata sulle possibili mire espansionistiche dell’Agricole (se si fondesse con Banco Bpm diventerebbe il secondo polo bancario italiano e darebbe filo da torcere a Unicredit nel nord Italia, ma qualche grattacapo lo creerebbe anche a Bper-Carige-Sondrio), un’altra new entry nel capitale della banca guidata da Giuseppe Castagna non è sfuggita ad occhi esperti, quella del fondo Adar che ha rilevato una partecipazione appena sotto la soglia del 5 per cento, come emerso dal libro soci il 7 aprile.
Di chi si tratta, dove vuole arrivare? A interrogarsi sono soprattutto i soci storici di Bpm perché Adar macro fund (questo il nome completo) è un investitore finanziario non molto noto in Italia: fa capo alla Adar Capital Partners, società fondata dall’uomo d’affari israeliano Zev Marynberg, con sede alle isole Cayman e investimenti finanziari in sud Europa (Spagna) e America Latina (Venezuela), con qualche predilezione per banche e immobiliare. E’ soprattutto un hedge fund considerato molto liquido: va dove pensa che ci sia valore inespresso e possibilità future di guadagno. E Piazza Meda è entrata nel suo mirino. Una buona notizia perché riflette l’attrattività della banca milanese in questa fase di grande fermento della finanza italiana in cui, però, non mancano reazioni di arroccamento.
Secondo gli ultimi rumors, il governo italiano potrebbe non essere pienamente favorevole a un’operazione di fusione tra Crédit Agricole e Banco Bpm. Sebbene l’ipotesi non sia sul tavolo e l’istituto francese non abbia neanche ancora richiesto l’autorizzazione alla Bce per superare la soglia del 10 per cento, in alcuni ambienti (Lega e Fratelli d’Italia, soprattutto, ma non solo) si mettono le mani avanti partendo dal presupposto, questo sì realistico, che data la differenza di grandezza tra le due banche, il controllo della nuova entità sarebbe nelle mani dei francesi.
Secondo una nota di Bestinver, un punto critico è che i tempi dell’affare sarebbero sbagliati poiché la guerra russo-ucraina potrebbe in teoria “falsare” il reale valore della “preda” a favore dell’offerente francese. “Vale anche la pena dire – aggiunge Bestinver – che Banco Bpm e Anima (la società di wealth management di cui è il primo socio) hanno qualcosa come più di 100 miliardi di euro di titoli di stato italiani e questo potrebbe essere visto come un’altra area sensibile dell’operazione”.
Ma in questo momento è davvero difficile fare una previsione su un accordo di fusione sul quale tutto quello che si sa è che tecnicamente potrebbe avvenire attraverso una operazione inversa in cui Banco Bpm acquista gli asset bancari di Crédit Agricole tramite uno scambio di azioni facendo della banca francese il suo principale azionista. Roba da far tremare i polsi ai relatori del Copasir – Enrico Borghi e Francesco Castiello – che due anni fa lanciarono l’allarme sugli interessi d’Oltralpe nelle banche e nella finanza italiana.
Tanta preoccupazione per l’invasione dello straniero potrebbe, in realtà, nascondere un altro problema: cosa fare con Banca Montepaschi per la quale il Mef sta ancora cercando un partner. Scartato Unicredit, che dopo aver fatto saltare la trattativa si è trovato impelagato a gestire l’esposizione in Russia, il disegno di un’aggregazione Milano-Siena resta un altro sogno proibito di una certa politica. Ma molto difficilmente l’ipotesi passerebbe in assemblea perché Banco Bpm è una banca privata fino a prova contraria e i fondi d’investimento come Adar avrebbero l’ultima parola. A meno che non entri di nuovo in gioco Unicredit, che solo poche settimane fa è stato a un passo dall’Opa su Bpm, sventata all’ultimo secondo da una fuga di notizie. Ma questa è un’altra storia.