Il piano del governo per stare senza gas russo dal Primo Maggio
Il blocco delle forniture dalla Russia non è più un tabù. Draghi non esclude più di dover fare a meno delle importazioni russe a partire da maggio. La diversificazione è a buon punto, ma nell'immediato servirebbe una riduzione dei consumi
Palazzo Chigi si sta preparando per fare a meno del gas russo dal Primo Maggio, sia nel caso l’Europa dovesse decidere di estendere le sanzioni sia nel caso, più remoto, in cui dovesse essere il Cremlino a bloccare le forniture. Non vuol dire che l’Italia è in grado di sostituire immediatamente il gas russo, ma che si sta predisponendo all’eventualità di uno stop immediato. Cosa che necessariamente comporterà una riduzione dei consumi.
Oggi il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani farà in Consiglio dei ministri una presentazione del piano per sostituire il gas russo, scendendo nel dettaglio delle linee generali già presentate nelle settimane scorse. La sfida della diversificazione non è affatto insormontabile in un arco temporale di un paio d’anni. Dei 29 miliardi di metri cubi che arrivano dalla Russia, circa il 40% del gas consumato, quasi un terzo arriverà da sud attraverso i gasdotti che ci collegano con il Nord Africa. L’accordo più importante, su questo fronte, è quello siglato due giorni fa con l’Algeria, da dove dovrebbero arrivare circa 9 miliardi di metri cubi annui in più. I volumi aggiuntivi non arriveranno tutti e subito, ma seguiranno un aumento progressivo che partirà dai circa 3 miliardi di metri cubi di questo autunno-inverno, per poi salire a 6 miliardi l’anno prossimo e, infine, per arrivare a pieno regime nel 2024 a 9 miliardi in più. Nel caso dell’Algeria è probabile che, se non sarà tutta produzione aggiuntiva, le forniture verso l’Italia saranno sostitutive rispetto ad altri paesi europei, come ad esempio la Spagna i cui rapporti con l’Algeria si sono deteriorati per l’avvicinamento di Madrid al Marocco sulla questione del Sahara occidentale.
Di queste tensioni può in un certo senso approfittare l’Italia, anche grazie allo storico ruolo di Eni in Algeria, considerando che la Spagna è meno dipendente da Mosca e ha una più ampia capacità di rigassificazione inutilizzata. Oltre all’Algeria, dalla sponda sud del Mediterraneo potrebbero arrivare altri 2 miliardi dal gasdotto libico Greenstream, ma c’è più incertezza vista la situazione critica della Libia. E altri 2-2,5 miliardi di metri cubi dovrebbero giungere dall’Azerbaigian attraverso il Tap, che però viaggia ormai verso la massima capacità di utilizzo. Un’altra importante quota di gas dovrebbe pervenire in forma liquida (Gnl) e un ruolo importante ce l’avrà sempre l’Eni. Dal Qatar, che è tra i principali produttori mondiali di Gnl, arriveranno quest’anno 2 miliardi di metri cubi in più e 1 dall’Egitto, dove lo scorso anno è ripresa la produzione dell’impianto di liquefazione dell’Eni di Damietta che era fermo dal 2012 per alcune controversie legali. Nel 2023 la quota aggiuntiva di Gnl da Qatar ed Egitto dovrebbe salire a 5 miliardi di metri cubi.
Un ulteriore importante contributo di gas naturale liquefatto è previsto dal progetto dell’Eni in Congo, che dovrebbe garantire all’Italia altri 5 miliardi di metri cubi all’anno, ma solo a partire dal secondo trimestre del 2023 quando inizierà la produzione. Volumi aggiuntivi di Gnl dovrebbero giungere da altri paesi africani come Angola e Mozambico, dove già si è recato in missione il ministro degli Esteri Luigi Di Maio accompagnato dai vertici dell’Eni. Ed è proprio in questi paesi, seguendo il modello della diplomazia energetica che ha portato all’accordo di Algeri, che il premier Draghi si recherà: il 21 e 22 aprile in Congo e Angola e poi a inizio maggio in Mozambico per consolidare il lavoro per la diversificazione energetica. Un altro pezzo del puzzle, 2-3 miliardi di metri cubi, dovrebbe arrivare dai 15 miliardi di metri cubi aggiuntivi statunitensi che Joe Biden ha promesso all’Unione europea per quest’anno. L’altro tassello, che ha avuto una spinta nei mesi scorsi con l’approvazione del Pitesai, riguarda l’incremento della produzione domestica nei giacimenti Cassiopea, Canale di Sicilia e Marche per altri 2 miliardi di metri cubi all’anno.
Infine ci sono altre due strade per sostituire il gas nella produzione di energia elettrica: una più inquinante di breve periodo che attraverso l’uso delle centrali a carbone dovrebbe far risparmiare 3-4 miliardi di metri cubi l’anno di gas; l’altra verde e strutturale che punta a realizzare rapidamente nuovi progetti di rinnovabili per far risparmiare altri 3 miliardi di metri cubi di gas.
L’arrivo di molto più Gnl passa da un pieno utilizzo della capacità di rigassificazione, ora ferma al 60%, e dall’installazione di due rigassificatori flottanti da aggiungere ai tre impianti fissi esistenti. Questo dovrebbe aumentare di 5 miliardi di metri cubi la capacità di rigassificazione. Il reperimento dei rigassificatori galleggianti non è semplice, se ne sta occupando Snam, e il primo dovrebbe essere pronto già a inizio 2023 da ormeggiare nel luogo che, sulla base di un lavoro tecnico, consente l’allaccio alla rete nel minor tempo possibile (si spera senza particolari proteste e resistenze locali). L’obiettivo principale, in questa stagione di bassi consumi, è quello di arrivare all’inverno con stoccaggi sufficienti: in quest’ottica in cui a preoccupare sono i volumi più che i prezzi, il governo è intervenuto attraverso l’Arera con un premio per incentivare lo stoccaggio.
In sostanza il piano per una transizione in un anno c’è, ma cosa fare se la realtà imponesse tempi più serrati? Se già da maggio non arrivasse più il gas russo? In tal caso bisogna ridurre i consumi: meno illuminazione pubblica, rivedere l’attività industriale senza distruggere capacità produttiva e, come ha detto Draghi, spegnere i condizionatori. E non come metafora, ma come necessità.