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la bolla nimby

Michele Emiliano apre al rigassificatore per liberarci da Putin, Legambiente e sindaci no

Maria Carla Sicilia

Mentre il governo cerca soluzioni per superare la dipendenza dal gas russo, in Puglia c'è chi prepara le barricate nell'eventualità di ospitare una unità galleggiante per ricevere il Gnl

La buona notizia è che tra chi si è sempre opposto ai progetti energetici ci sono dei “pentiti”. La cattiva è che la bolla nimby non si è ancora sgonfiata. Entrambi i fatti si possono osservare in questi giorni in Puglia, dove secondo i piani del governo dovrebbe essere installato uno dei due rigassificatori galleggianti necessari per poter utilizzare il gas naturale liquefatto (Gnl) che l’Italia acquisterà dagli Stati Uniti e da altri paesi. 

La storia è nota. Per superare la dipendenza energetica dal gas che importiamo dalla Russia, tentando di non danneggiare crescita e produzione industriale, l’Unione europea ha stretto un accordo con l’America per acquistare 15 miliardi di metri cubi di Gnl: un contributo non risolutivo ma utile. L’Italia ha poi cercato nuove intese con i suoi partner commerciali, dall’Algeria all’Egitto, dal Qatar al Congo. In alcuni casi sono già stati definiti i volumi aggiuntivi da importare, per altri la diplomazia italiana è ancora al lavoro. Ma perché questo lavoro non sia inutile è indispensabile aumentare la capacità del paese di rigassificare il gas liquefatto trasportato via nave per immetterlo nella rete. E’ qui che entra in gioco il delicato incarico che il governo ha affidato a Snam: portare in Italia due rigassificatori galleggianti da circa 5 miliardi di metri cubi ciascuno, uno da noleggiare e uno da acquistare. Impresa tutt’altro che semplice, in un momento in cui molti altri paesi hanno bisogno della stessa tipologia di navi: nel mondo se ne contavano 43 alla fine del 2020. 

Se questa missione andasse a buon fine – su una delle due navi diverse fonti confermano che le trattative sono vicine alla conclusione – le infrastrutture italiane sarebbero predisposte per fare a meno di un terzo del gas russo. Un ruolo in questa partita lo avrà la Puglia, più precisamente Brindisi o Taranto, nei quali porti il governo vorrebbe collocare una delle due unità galleggianti. 

Il progetto è così strategico che persino Michele Emiliano non ha escluso di valutarne la fattibilità in un F la settimana scorsa. Lo stesso presidente di regione che definì il cantiere del gasdotto Tap “Auschwitz”, salvo poi scusarsi, oggi ammette che è urgente risolvere il rebus dell’approvvigionamento del gas. 

A ignorare la complessità del problema, restando ancorata alle sue posizioni come se gli equilibri geopolitici non fossero cambiati con la guerra, è invece Legambiente. In Puglia, il suo presidente dice che “il problema non è come sostituire, peraltro parzialmente, il gas russo, ma investire realmente sulle fonti rinnovabili”. Parla di “rischi di incidenti” e di “effetti ambientali”, insistendo sull’idea che basterebbe installare 20 GW di impianti rinnovabili per bilanciare l’ammanco del gas. Così l’associazione ambientalista pronuncia il suo “no” secco al progetto del governo. E promettono barricate anche i sindaci delle città che dovrebbero ospitare la nave Fsru (Floating Storage and Regasification Units). Quello di Taranto, Rinaldo Melucci, dice che “la questione è chiusa sul nascere”, e quello di Brindisi, Riccardo Rossi, sostiene che quei territori “hanno già dato in termini di energia e ambiente”. 

La mentalità è sempre la stessa di chi cerca soluzioni facili ma inefficaci. Uno spaccato illuminante in questo senso è quello che si ritrova nell’intervista di Davide Casaleggio a Jeremy Rifkin. “Di recente il governo italiano ha detto che deve fare affidamento al gas naturale e carburanti fossili nel breve termine”, ha detto il premio Nobel al presidente di Rousseau qualche giorno fa, aggiungendo: “Si sbagliano. Si devono installare in tutte le regioni d’Italia, dappertutto, impianti solari ed eolici e dotare l’Italia delle nuove energie della biosfera”. Al netto della difficile burocrazia del paesaggio, anche questa è una delle strade su cui il governo intende proseguire. Ma continuare a dire “no” a tutto il resto significa fare un favore alla Russia. Sgonfiare la bolla nimby è l’unico modo per non fare il gioco di Putin.

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  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.