I tabù che le banche devono superare con le piccole imprese. Parla il presidente di Confartigianato
Il problema non sono le dimensioni d'impresa, ma le condizioni poco favorevoli all'iniziativa economica. Ecco dove intervenire per crescere: un'analisi di Marco Granelli
Nei dibattiti e nelle analisi sulle prospettive dell’economia in questa fase storica densa di incognite rispunta il tormentone della dimensione delle nostre imprese. Ai cantori del ‘piccolo è bello’ si oppongono coloro che accusano l’Italia di nanismo imprenditoriale, convinti probabilmente che bisogna per forza nascere colossi multinazionali per avere diritto a fare impresa in Italia. Ancora una volta, però, sfugge il fatto che la dimensione delle imprese italiane è un falso problema. Quello che deve cambiare non è la “taglia” aziendale, ma le condizioni di un contesto poco favorevole all’iniziativa economica, sia essa micro, piccola, media o grande. Si può essere grandi imprenditori, in termini di talento, creatività, lungimiranza, capacità manageriale, anche con un’azienda di due dipendenti.
Lo dimostrano i tanti artigiani, micro, piccoli imprenditori che rappresentano e difendono nel mondo l’eccellenza manifatturiera di prodotti fatti davvero in Italia. Sono i “mediani d’attacco” della nazionale Italia, quelli che lavorano duro, lontano dai riflettori, con spirito di sacrificio e tenacia, per raggiungere risultati di qualità utili a tutta la squadra. I dati sono lì a confermarlo e Confartigianato li ha messi in fila, analizzando le performances dei 4,4 milioni di micro e piccole imprese italiane che danno lavoro a 11,1 milioni di addetti e sono l’anima del made in Italy. A cominciare dalla capacità di creare occupazione, con un’incidenza del 62,8% sul totale degli addetti dell’economia, quota che supera di gran lunga la media Ue.
Anche la trasmissione di competenze è una prerogativa delle piccole imprese, visto che un apprendista su quattro lavora nelle aziende artigiane. Le micro e piccole imprese sono un terreno fertile per il capitale umano giovane e femminile: le donne rappresentano il 41,5% dei dipendenti delle MPI, a fronte del 39,5% nelle imprese più grandi, e i giovani tra 15 e 29 anni sono il 19,8% della forza lavoro, rispetto al 12,5% delle imprese più grandi. Se parliamo di innovazione, poi, si scopre che il 53,3% dei piccoli imprenditori è impegnato in attività tecnologicamente avanzate. Quanto all’impegno green, vede coinvolte 99mila piccole imprese e 304mila addetti nella filiera delle energie rinnovabili e 486mila MPI e 338mila imprese artigiane dell’edilizia e dell’installazione di impianti al lavoro per garantire risparmio ed efficienza energetici degli edifici.
In generale, la difesa dell’ambiente sta a cuore al 66,3% delle piccole imprese che svolgono azioni per ridurre l’impatto della proprie attività. Confartigianato rileva anche la prevalenza di micro e piccole imprese nei settori dell’economia circolare: sono 143mila aziende che si occupano di riparazione, riuso, riciclo di materiali. Dal locale al globale, i piccoli giganti della nostra economia vendono nel mondo beni per 59 miliardi di euro, portando così l’Italia al primo posto nell’Ue per il contributo diretto delle piccole imprese alle nostre esportazioni. “Questi numeri – sottolinea il Presidente di Confartigianato Marco Granelli – parlano da soli a chi vuole davvero conoscere com’è e cosa fa il nostro sistema produttivo. Bisogna farla finita con i pregiudizi sui ‘piccoli’ e, invece, agire concretamente per sostenere la loro competitività. Abbiamo la grande, imperdibile occasione del Pnrr e un’agenda di riforme, più volte annunciate e ora da attuare: dalla riduzione della pressione fiscale e del costo del lavoro alle politiche attive del lavoro e la formazione delle competenze, fino alla semplificazione normativa e burocratica, per liberare finalmente le imprese da adempimenti e costi inutili”. Insiste Granelli: “Bisogna cambiare il Paese, non la ‘taglia’ delle imprese: è quasi banale – ricordare il fardello di tasse e di burocrazia o le condizioni delle infrastrutture materiali e immateriali che, troppo spesso, deprimono i migliori entusiasmi degli imprenditori, piccoli o grandi che siano. E in cima alla lista delle cose da cambiare c’è il credito. Nessuna impresa nasce grande e capitalizzata. Come si può pensare di avviare un’azienda e di farla crescere se il sistema bancario non dà fiducia? Tutto questo per dire che è più utile per tutti correggere errate percezioni sul nostro sistema produttivo e migliorare, finalmente e davvero, le condizioni nelle quali gli imprenditori svolgono la propria attività, senza che debbano sentirsi costretti a crescere per forza”.