Chiude Stellantis. In Russia le sanzioni mordono l'economia reale

Ugo Bertone

Ferme le linee di produzione dello stabilimento di Kaluga del gruppo italo-francese. per le aziende russe sarà quasi impossibile correre sul cloud: Sap, il gigante tedesco del software, ha deciso di lasciare il mercato russo

Non solo Stellantis. Tacciono da ieri le linee di produzione dello stabilimento di Kaluga, l’unica fabbrica in Russia del gruppo italo-francese che ha deciso di seguire l’esempio di Volvo, Daimler e Volkswagen che hanno chiuso gli impianti nel paese. Resiste solo, più per necessità che per scelta, Renault, la più esposta tra le case d’auto per cui la Russia, grazie al controllo di AutoVaz, rappresenta il secondo mercato. Ma non si esaurisce qui il bollettino quotidiano del divorzio da Mosca delle aziende occidentali, un salasso spontaneo che accompagna le sanzioni ufficiali che piovono sull’economia di Putin. 

 
Da ieri per le aziende russe sarà quasi impossibile correre sul cloud. Sap, il gigante tedesco del software, ha deciso di lasciare il mercato russo, già orfano del concorrente americano Oracle che ha fatto le valigie un mese fa. Sempre ieri la Borsa di Mosca ha perso lo status di mercato azionario riconosciuto a livello internazionale, un segnale forte, ha detto Lucy Fraser, la segretaria del Tesoro britannica, “che dimostra come non c’è alcuno spazio oggi per investire in Russia”. Risuona sinistra, in questo quadro, la stima del sindaco di Mosca Sergei Sobyanin che ha annunciato un piano di assistenza, valore 40 milioni di dollari, per i dipendenti delle multinazionali che perderanno il posto: 200 mila persone circa. Poca cosa rispetto ai numeri che arrivano sulla scrivania di Elvira Nabiulina, la governatrice della Banca centrale russa che, secondo indiscrezioni, ha tentato invano di dar le dimissioni  dopo l’attacco all’Ucraina. Lunedì, la banchiera che in questi anni ha rimesso ordine nelle casse dello stato, ha spiegato alla Duma che l’effetto delle sanzioni è appena cominciato. Le misure, ha detto, hanno colpito in un primo momento il mercato finanziario, ma d’ora in poi avranno un impatto più forte sulleconomia: “Il periodo in cui l’economia poteva vivere di riserve è finito. Già nel secondo e terzo trimestre entreremo in un periodo di trasformazione strutturale e di ricerca di nuovi modelli di business”, ha detto il numero uno della banca centrale che, tra l’altro, da oggi non pubblicherà più i dati sulle scadenze del debito estero. 

 
Un vero e proprio fulmine nei cieli cupi e grigi del regime che ha provocato l’immediata reazione del capo supremo. La guerra lampo delle sanzioni, ha detto Vladimir Putin in tv, è fallita. Anzi, “la Russia ha resistito a una pressione senza precedenti – ha detto il presidente –. La situazione si sta stabilizzando, il cambio del rublo è tornato ai livelli di inizio febbraio e i volumi dei depositi dei cittadini sono in aumento”. Un quadro roseo, insomma, che fa a pugni con la legge dei numeri ufficiali che parlano di un’inflazione al 16,7 per cento a fronte di una congiuntura in frenata per ora all’8,8 per cento. Ma il linguaggio delle cifre dà solo in parte la misura dello psicodramma di quel che resta dell’economia russa. Putin può contare sui capitali (800 milioni al giorno) in arrivo nelle casse dello stato  dall’export di gas  e petrolio. Grazie anche all’azione della banca centrale, Mosca ha potuto anche attingere per 38,8 miliardi di dollari alle riserve valutarie, almeno quelle che non sono congelate nelle   istituzioni occidentali. Di qui in avanti, secondo alcune stime, la Russia potrà contare ancora su riserve “libere” (specie in Cina) attorno ai 50 miliardi di dollari. Ovvero, almeno sul piano dei fondi, il braccio di ferro può andare avanti. Ma a che prezzo? 

 
La Nabiulina, moglie dell’ex rettore dell’università di Mosca, è consapevole che “in pratica ogni prodotto realizzato in Russia dipende da componenti importati”. Vale per l’industria tessile, che dipende dai macchinari (specie italiani) per i tre quarti della produzione, ma anche per la farmaceutica, i computer, l’industria dell’auto e così via. In tutti i settori chiave Mosca dipende da componenti importate. Non è solo questione di tecnologia, indispensabile tra l’altro per evitare la frenata dell’industria petrolifera, o dei beni di lusso così cari agli oligarchi piuttosto che dei mobili di Ikea, status symbol della classe media. Le sanzioni colpiscono soprattutto gli uomini. Come Vladislav Filev, l’Elon Musk di Mosca capace di dar vita a S7 Airlines, una compagnia  forte di 105 velivoli (la maggior parte in leasing), oggi in pratica rinchiusa entro i confini nazionali anche per evitare confische. E così svanisce il sogno della vacanza sul Mediterraneo. Non resta che il Mar Nero, poco frequentabile di questi tempo.
 

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