sovranisti dei miei stivali
La guerra e i nemici del libero commercio: sovranisti e no global
Le guerre economiche spianano la strada a quelle vere. Perché dobbiamo iniziare a parlare di ri-globalizzazione
Una delle lezioni più chiare dei disgraziati anni Trenta del secolo scorso è che le guerre commerciali sono l’anticamera delle guerre vere. Una lezione che stiamo riscoprendo in questi giorni, ma che tanti hanno rifiutato, nelle destre sovraniste e nei variegati movimenti delle sinistre no global. I settant’anni di pace che abbiamo conosciuto fino a poche settimane fa in quasi tutto l’occidente, malgrado le enormi tensioni della Guerra Fredda, sono anche dovuti a una lunga e paziente costruzione, iniziata con gli accordi di Bretton Woods del 1944, volta a smantellare le barriere che erano state costruite prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. Il principio su cui si reggeva l’intero edificio era quello del multilateralismo che non comportava un do ut des fra singoli paesi, ma cercava di aprire i commerci a tutti i paesi o comunque a un gran numero di essi.
Per decenni è prevalsa l’idea che, salvo casi particolari, multilateralismo e libero commercio erano la causa per cui ci si doveva battere nei paesi avanzati, e più ancora nei paesi poveri, contro le continue tentazioni dei paesi forti di fare accordi speciali a loro vantaggio. Gli accordi di libero scambio – assieme agli sviluppi delle tecnologie di comunicazione – hanno portato alla globalizzazione, la quale a sua volta ha reso possibile una colossale riduzione delle diseguaglianze a livello globale. Il meccanismo ha retto anche perché gli Stati Uniti, potenza egemone, pur fra alti e bassi, si sono fatti portatori delle idee del libero commercio e ne hanno sostenuto le istituzioni, l’Organizzazione mondiale del commercio, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e altre. E perché al di sopra di queste vi erano le Nazioni Unite, e relative organizzazioni satellite come l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), che cercavano di tessere una sottile tela di legalità internazionale e di solidarietà fra le nazioni.
Negli ultimi due decenni queste idee e le istituzioni che le incarnavano sono entrate in crisi, per molti motivi, tra cui l’ascesa di nuove potenze (i cosiddetti Brics), l’affermarsi di dittature nazionaliste in Russia e in Cina, e anche perché nei paesi ricchi si affermavano visioni pesantemente contrarie al libero commercio e alla globalizzazione, nelle destre sovraniste e nelle sinistre no global (ricordate Seattle 1999?). Contro le istituzioni nate a Bretton Woods, Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, si è messa in moto una micidiale macchina del fango.
La crisi è culminata nel 2017, quando il campione delle destre sovraniste, Donald Trump, per motivi di mero consenso interno, fece saltare i due grandi accordi economici possibili, con l’Unione europea e con i paesi del Pacifico. Con Trump tutto è cambiato perché la potenza egemone ha avviato negoziati bilaterali basati sul principio del più forte e ha imposto dazi anche ai danni di paesi tradizionalmente amici, come quelli europei. Nei confronti delle Cina, Trump aveva qualche buona ragione, ma ha fatto un disastro quando, da un giorno all’altro, ha trasformato la Cina in un vero e proprio nemico, nei confronti del quale erano da ritenersi lecite azioni di vera e propria guerra commerciale.
Analoghi disastri Trump ha fatto violando palesemente i codici dell’Organizzazione mondiale del commercio, tagliando i finanziamenti alle organizzazioni internazionali e ritirando gli Stati Uniti da alcune di esse (Oms, Consiglio Onu per i diritti umani, Accordi di Parigi sul clima), ma anche azzerando l’accordo con l’Iran, insultando il dittatore nordcoreano, salvo poi vantarsi di aver trovato un (quanto mai effimero) accordo con lui. La nazione egemone ha agito come una qualunque potenza ottocentesca e ha scoperchiato la pentola, che già era in ebollizione, dei sovranismi, delle rivendicazioni nazionaliste, delle guerre commerciali e delle guerre vere. In realtà non tutto è perduto e i mercati sapranno trovare le nuove vie degli scambi entro confini geografici diversi dal passato: come hanno argomentato Sergio Fabbrini e Sabino Cassese, forse bisogna parlare di ri-globalizzazione più che di de-globalizzazione. In ogni caso, prima o poi, finita l’oscena guerra della Russia contro Ucraina, occorrerà pazientemente rimettersi a costruire quell’impianto di pace che per tanto tempo è stato l’oggetto dell’avversione, oltre che di molti dittatori in giro per il mondo, dei sovranisti e di una parte non piccola delle sinistre dei paesi ricchi.