Il sindaco di Roma Gualtieri con l’assessora all’Ambiente Sabrina Alfonsi nel quartiere Don Bosco nel corso delle operazioni di pulizia nel 2021 (Ansa) 

Tutte le fisse antiscientifiche che hanno impedito di trasformare lo smaltimento dei rifiuti in energia

Chicco Testa

Incenerire le (eco)balle. Il coraggio del sindaco di Roma Roberto Gualtieri sul termocombustore spazza via anni di ipocrisia

Nel 1998 il sottoscritto, nella sua qualità di presidente di Enel, e l’amministratore delegato Franco Tatò ci recammo da Romano Prodi, allora presidente del Consiglio, con una proposta. Avremmo potuto realizzare di fianco a un certo numero di centrali esistenti anche dei termocombustori al servizio dei territori circostanti. Ricordo fra i siti proposti Montalto di Castro, Livorno, Genova, Napoli, San Filippo in Sicilia, Fusina a Venezia e qualche altro. Quei siti avevano notevoli pregi. Disponevano di ampi spazi, collegamenti ferroviari e buona viabilità, linee elettriche già esistenti. Enel avrebbe fatto gli investimenti a sue spese in cambio di una tariffa concordata, mettendo a disposizione le notevoli capacità tecniche di cui disponeva. La reazione di Prodi fu entusiasta. In pratica avremmo risolto senza costi per la collettività, e anzi con notevoli risparmi, situazioni incancrenite, continuamente sull’orlo di crisi per mancanza di impianti. Si potevano mettere al sicuro Roma e il Lazio, la Toscana, la Liguria, parte del Veneto, la Sicilia, Napoli e la Campania. Per Roma era previsto un trasbordo notturno dei rifiuti via treno fino a Montalto. Niente rispetto alla situazione attuale, con i rifiuti che viaggiano su 150 tir ogni giorno fino alle regioni del nord, quando non all’estero. L’allora sindaco di Palermo, che già si chiamava Orlando, mi chiamò entusiasta per l’occasione di liberarsi della storica e disastrata discarica di Bellolampo, ancora oggi l’unica risorsa, diciamo così, per lo smaltimento dei rifiuti di Palermo.   

      
Poi la notizia come era logico fu resa pubblica agli alleati di governo, partì il fuoco di sbarramento e la minaccia della crisi da parte della componente dei Verdi e di qualche pezzo di sinistra, e tutto finì in un attimo. I termocombustori, gli inceneritori come sono popolarmente chiamati, costituivano e costituiscono una fissazione senza senso fra i topos negativi della cultura ambientale italiana. 

       
Il resto della storia è noto ed è fatto da poche luci e molte ombre. Milano e la Lombardia hanno affrontato la crisi degli anni 90 realizzando in tempi rapidi un certo numero di questi impianti, fra cui spicca quello di Brescia che dà elettricità e calore, e la Lombardia è oggi la regione che fa più largamente ricorso a questa tecnologia. Attenzione! La Lombardia è contemporaneamente la regione con il più alto tasso effettivo di riciclaggio, che supera il 60 per cento e manda in discarica meno del 5 per cento. Il che dimostra che una delle tesi fondamentali degli ambientalisti antiscientifici, quella per cui l’incenerimento precluderebbe la possibilità di riciclare rifiuti perché distrutti dal mostro di fuoco, è basata sul nulla. Senza contare la produzione energetica connessa. Ma ci torniamo fra poco. Idem hanno fatto diverse regioni del nord, Piemonte, Veneto, Trentino ed Emilia Romagna, che infatti gestiscono la situazione con tranquillità e ottimi risultati. Anche per quanto concerne raccolta differenziata e riciclaggio.  

    
Napoli ha affrontato una battaglia campale, che ha visto alleati l’allora sindaco Bassolino e il governo Berlusconi che mandò l’esercito, battaglia al termine  della quale è entrato finalmente in funzione l’impianto di Acerra. Non sono sicuro che se Bassolino avesse immaginato cosa gli sarebbe toccato a causa di quella scelta, vale a dire un numero imprecisato di processi durati anni, solo al termine dei quali, completamente prosciolto, ha riacquistato la tranquillità, avrebbe comunque proceduto senza esitazioni. Ma a lui (e a Berlusconi) va il merito di avere salvato Napoli. Senza il termocombustore di Acerra, la città sarebbe sepolta dai rifiuti. A memoria di quel lungo periodo e della demagogia sparsa a piene mani da comitati, vescovi, verdi, pezzi di sinistra rivoluzionaria e magistrati, rimangono migliaia di ecoballe per migliaia e migliaia di tonnellate di rifiuti là confinati durante i lunghi anni di crisi.

  
Di Roma sappiamo. Impossibilità di ritirare i rifiuti dalle strade, impianti a fuoco, tariffe fra le più alte d’Italia e rifiuti spediti in ogni dove. Pochi lo sanno ma Roma smaltisce in un modo o nell’altro meno del 10 per cento dei suoi rifiuti dentro il Lazio. Quasi nulla nel suo territorio. Della Sicilia abbiamo detto ma devo aggiungere che dopo la telefonata entusiasta, Orlando è scomparso di fronte all’opposizione dei soliti noti. Sono passati quasi 30 anni e leggo che il presidente della Regione intende realizzare un paio di impianti, considerati assolutamente urgenti. In bocca al lupo. La Toscana, una volta citata per la sua efficienza, da anni è arroventata da dispute ideologiche senza senso, anche lei esportando a piene mani, e oggi ricomincia da capo. Si vedrà. 

  
Nel 2014 ci prova Renzi con il decreto Sblocca Italia. Dove inserisce la realizzazione di 8 inceneritori in diverse regioni, sempre più o meno le solite del centro-sud, a meno che le  stesse regioni non dimostrino di avere soluzioni alternative. Cosa che non succede, ma in cambio si apre una guerra tipicamente italiana sulle competenze statali e quelle regionali che si protrae fino alla caduta del “quasi fascista” governo Renzi e al fallimento dello Sblocca Italia. 

 
Insomma venti anni e più buttati via, il tempo nella politica italiana viene considerato una risorsa illimitata e gratuita, insieme a miliardi usciti dalle tasche dei cittadini e finiti spesso all’estero. Rimane memorabile quel sindaco di una città olandese che disse ai suoi cittadini “quest’anno ci faremo tante docce gratis grazie ai rifiuti importati dall’Italia”. 

 
Nel tempo le motivazioni contro questi impianti sono andate variando. Prima era l’inquinamento, poi sparito di fronte a sistemi di rilevamento che mostrano il trascurabile contributo che danno gli inceneritori. Ispra Lombardia stima che gli inceneritori lombardi pesino per uno 0,5 per cento sul totale delle emissioni lombarde. Molto meno, per prendere a esempio quello di Brescia, di quanto faccia invece l’autostrada che gli corre accanto. Con buona pace delle “mamme contro l’inceneritore” che per un certo periodo, pure loro, hanno fatto sentire la loro preoccupata voce. Ma in tempi  di economia circolare, l’ultimo mantra da ripetere più volte per raggiungere la pace mentale, la motivazione è cambiata. Bruciare i rifiuti, fosse anche per produrre energia e calore da utilizzare, è considerato un delitto termodinamico. I rifiuti vanno recuperati. Tutti. Infatti basta guardare la situazione europea. A nord i paesi virtuosi hanno alte percentuali di riciclaggio e di termocombustione, tecnologie che convivono perfettamente,  mentre a sud le percentuali di riciclaggio sono basse, la termocombustione è assente e la discarica insieme all’esportazione oltre frontiera la fanno da padrone. Esattamente come in Italia. Purtroppo è proprio la termodinamica che esclude che tutto possa essere riciclato all’infinito. I materiali nel loro viaggio da materie prime a rifiuto passando attraverso l’uso perdono prima la forma utile per una certa funzione e progressivamente le loro qualità organolettiche, conservando solo l’energia che ancora contengono. E oltre un certo limite riciclare significa affrontare costi esorbitanti per poca utilità. Ma il riciclaggio e la raccolta differenziata non sono utili strumenti da mettere alla prova dei fatti e dell’utilità, ma categorie dello spirito che servono a scindere i fedeli dagli infedeli.

  
Un’altra tecnica usata dai partigiani del no è quella dell’albero di Gioppino, il quale, condannato a morte per impiccagione, chiese di poter scegliere l’albero. Che naturalmente non trovò mai. La gassificazione per esempio può rappresentare una valida alternativa. Bocciata, perché anch’essa sottrarrebbe materiali al riciclaggio. Così spuntano come funghi comitati contro gli impianti per il trattamento della frazione umida che viene con fatica raccolta in modo differenziato e spedita quasi sempre negli impianti del nord. I 5 stelle romani proponevano “le compostiere di quartiere”. Sai che delizia. Il problema insomma è sempre un altro. 

 
Ragion per cui dopo avere fatto giri infiniti come gli amori di Venditti e sprecato miliardi di parole e di denari si torna sempre al punto di partenza.

 
In questo paesaggio disastrato la presa di posizione di Gualtieri ha prodotto  lo stesso effetto del bambino che dichiara che il re è nudo. Decenni di ipocrisia spazzati via con coraggio, mentre cortigiani stupefatti si guardano l’un l’altro perplessi e indecisi su come ricollocarsi. Il sindaco di Roma in un colpo solo ha spiazzato un bel po’ di ambientalismo dei luoghi comuni, pezzi di sinistra e la stessa regione dell’amico Zingaretti. A suo supporto è arrivato subito il segretario del Pd Enrico Letta che per dichiarare il suo accordo ha scelto per la verità una formula un po’ complessa per non usare quella parola maledetta, parlando di “strategia di valorizzazione energetica strutturale”. Con lo scappellamento, ha aggiunto qualcuno, ma questa volta a sinistra.