Draghi soppesa il bluff di Putin sul gas, salta il Cdm sull'energia
La rappresaglia del Cremlino contro Polonia e Bulgaria ha messo in allerta il premier. Il Copasir per ora ritiene che la minaccia non sia imminente, ma non può essere sottovalutata. E in attesa del prossimo Consiglio europeo, il governo valuta le alternative e accelera i suoi piani
Schermaglie. Al momento, nelle analisi condivise tra Farnesina e Mite, e finite sul tavolo degli uffici diplomatici di Palazzo Chigi, la rappresaglia russa sul gas nei confronti di Polonia e Bulgaria sarebbe più che altro questo: un’azione dimostrativa. Che, tuttavia, viene monitorata con una certa apprensione dai nostri Servizi. E induce il governo ad accelerare nei suoi piani. La domanda, in effetti, ieri mattina i membri del Copasir se la sono posta: “E se capitasse anche a noi?”. Se, cioè, anche nei confronti dell’Italia Putin ponesse l’ultimatum sul gas e i rubli? E se alla fine si è deciso di non riaprire la discussione, iniziata proprio per approvare la relazione del Comitato parlamentare sulla sicurezza energetica, è stato perché in fondo la risposta era già contenuta nelle 30 pagine appena vidimate.
La minaccia, in sostanza, viene ritenuta non imminente, se non altro perché “va tenuto in considerazione che la Russia ha bisogno di continuare a vendere il suo gas all’Europa, non essendo praticabili a breve termine e convenienti i mercati asiatici”. Convinzione, questa, ricavata evidentemente anche dalle audizioni di Mario Draghi e di Roberto Cingolani nelle scorse settimane, quando entrambi avevano sottolineato la “non sostituibilità, nel breve e medio termine, degli acquisti europei con maggiori forniture nei confronti della Cina”. Per una ragione semplice: non sono disponibili adeguate infrastrutture di trasporto per incrementare i flussi già esistenti fra Mosca e Pechino, e neppure appare realizzabile una nuova infrastruttura di trasporto che interconnetta con la Cina i giacimenti da cui la Russia esporta in Europa.
E tuttavia, le difficoltà militari potrebbero indurre Putin a prendere scelte irragionevoli. Ed è vero, certo, che, come spiegano al Mite, il Cremlino è partito con delle ritorsioni, quelle su Varsavia, a ben vedere poco credibili, visto che si applicano su un paese che ha già pianificato la rottura energetica con Mosca per dicembre. E però proprio il confronto tra la Polonia e l’Italia su un altro aspetto sconsiglia sottovalutazioni del rischio. Perché gli impianti di stoccaggio polacchi, secondo fonti locali, sarebbero pieni per l’80 per cento. E invece in Italia le riserve stanno al 32,5 per cento. Sono ancora tra le più alte d’Europa, visto che Francia, Germania e Olanda sono rispettivamente al 24, 27 e 20, ma in nessun paese continentale – esclusa l’Austria, crollata dal 26 al 13 – il calo rispetto all’anno precedente è stato di 7 punti, com’è accaduto in Italia, dove ad aprile del 2021 si registrava una quota di stoccaggio pari al 40 per cento.
Sconsigliabile, del resto, sarebbe anche una via italiana al tetto del prezzo del gas: significherebbe esporsi al rischio di dumping, che sconteremmo anche sul crescente mercato del Gnl. Quanto alla strategia europea per il price cap, bisognerà attendere il prossimo Consiglio europeo di fine maggio, per comprendere se le resistenze tedesche e olandesi sono davvero superate. Nel frattempo, però, nel breve periodo ci sono comunque azioni che il governo può adottare. Una delle quali passa per la semplificazione normativa relativa agli impianti rinnovabili. E per quanto sembri la più semplice tra le molte azioni da adottare, i barocchismi nostrani, quando si tratta di autorizzazioni ambientali, restano l’arma preferita dai burocrati del ministero della Cultura. Che, se non altro, pare abbiano ottenuto di rimandare a nuova scadenza, e dunque non al Cdm che verrà (non oggi, pare, essendo stato pure quello rinviato), lo sblocco forzoso di un nuovo pacchetto di impianti di eolico e fotovolatico.
Un paradosso ancor più stridente, peraltro, se si pensa che nei giorni scorsi da Bruxelles sono arrivati dei primi segnali incoraggianti rispetto a un possibile potenziamento del pacchetto energetico previsto nel Pnrr. E così, nella casella di posta dei funzionari del Mite, sono arrivate delle mail che richiedevano di effettuare simulazioni preventive relative a eventuali estensioni dei progetti connessi alla transizione ambientale. Più soldi europei, insomma, in cambio di nuove riforme in campo energetico e nuovi progetti su idrogeno e rinnovabili. Tutto ancora da definire. E tutto, magari, ancora da bloccare.