battaglie da vincere
Basta con l'eccesso di regole. Ora serve una svolta vera sugli appalti pubblici
L’Italia sta uscendo dalla recessione indotta dalla pandemia ma molto resta da fare. Va promossa e sostenuta la domanda pubblica e va cambiata la cornice giuridica delle attività economiche
Le analisi economiche attestano che l’Italia sta uscendo dalla recessione indotta dalla pandemia. Ma molto resta da fare, dopo quasi tre decenni di insufficiente crescita. Per riuscirci, va promossa, sostenuta la domanda pubblica. Diversamente dal passato, i soldi sono disponibili, grazie al Recovery fund. Ma è indispensabile anche cambiare la cornice giuridica delle attività economiche, a cominciare dagli appalti, che hanno un’importanza notevolissima per realizzare gli investimenti pubblici nelle infrastrutture di cui il paese ha bisogno. Essi sono perciò inclusi tra gli obiettivi del Pnrr, in particolare per quanto riguarda la qualificazione delle capacità di decisione e di azione delle stazioni appaltanti.
Su questo cruciale e delicato versante, il governo Draghi, che pure ha assunto varie meritevoli iniziative per semplificare le attività amministrative, rischia di agire in senso opposto. Alla fine dell’anno scorso, ha predisposto il decreto di attuazione del codice dei contratti pubblici, ma sono sorti due problemi, uno di metodo e l’altro di merito. Nel metodo, per un aspetto di grande rilievo, cioè il sistema di qualificazione delle imprese, non è stata raggiunta l’intesa con le regioni. Nel merito, il decreto prevede che l’Anac adotti le linee guida che individuano le modalità operative per la progressiva realizzazione del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti.
Questa scelta è discutibile in sé ed è contraddittoria con l’indirizzo che il governo stesso ha enunciato nel disegno di legge per ridefinire la cornice legislativa dei contratti pubblici. E’ discutibile, perché, per risolvere un problema reale, la scarsa qualificazione di molte stazioni appaltanti anche per via dell’esigua capacità amministrativa degli enti pubblici, si persegue nella soluzione sbagliata, cioè la moltiplicazione delle regole e dei controlli. Di regole, ve ne sono già troppe, poste dalle direttive dell’Ue, dalle leggi che le recepiscono, dai regolamenti governativi di attuazione, da quelli delle stazioni appaltanti. L’eccesso di regole è in sé un male, perché genera una perniciosa incertezza in sede applicativa, e contribuisce, con il sovrapporsi dei controlli, all’eccesso di cautela in cui tanti, troppi amministratori si rifugiano per evitare di assumere responsabilità personali. La scelta effettuata dal governo è inoltre in contraddizione con quelle prese nel disegno di legge, perché questo prevede la ridefinizione della cornice legislativa e attribuisce un ruolo importante alla sezione consultiva del Consiglio di stato per gli atti normativi. Ci si può domandare, quindi, se vi sia proprio bisogno di un ulteriore strato di regole dettate da un’altra autorità pubblica. Non è meglio seguire con determinazione la via della semplificazione, tante volte promessa?