(foto di Ansa)

Come (non) si salva il Meridione

I problemi della retorica e della strategia di Draghi per il Sud 

Guglielmo Barone

Una critica costruttiva a quello che il premier ha detto a Sorrento. Perchè la questione del Mezzogiorno non è solo spesa pubblica, ma anche cultura istituzionale, qualità delle èlite e scarsa efficienza nello spendere i fondi

Al recente forum “Verso Sud” organizzato dal ministro Mara Carfagna, il premier Mario Draghi ha chiarito la strategia del governo per il Mezzogiorno, partendo dall’assunto che il divario tra Sud e Centro-nord non è una maledizione della storia: tra gli anni ’50 e i primi ’70 dello scorso secolo il pil pro capite al sud è cresciuto più che nel resto del paese, anche grazie agli investimenti pubblici. Questa evidenza suggerirebbe che il Pnrr, destinando il 40 per cento delle risorse al Mezzogiorno (che, ricordiamolo, vale il 22 per cento del pil nazionale), possa essere il nuovo innesco per il riequilibrio territoriale. Il premier ha inoltre sottolineato che le nuove assunzioni previste nella pubblica amministrazione saranno sufficienti a garantire il buon uso di queste ingenti risorse, il cui impiego è definito in accordo con gli enti locali.

 

Certamente il ritardo del Mezzogiorno non è un destino già scritto. E bene l’accento sulla spesa in conto capitale rispetto a quella corrente. Ma per il resto è una narrazione in larga parte già vista, basata sul riflesso pavloviano ritardo-spesa. E’ una strategia poco convincente, risentendo forse dei necessari compromessi politici in una sfera d’attività del governo fuori dal suo core business. A parte il periodo storico richiamato sopra, in molti altri periodi a fronte di corposi investimenti pubblici al Sud si è registrata invece una divergenza rispetto al Nord: non sorprende, alla luce degli sprechi e della bassa qualità della spesa. Non si tratta di “pigri pregiudizi”, come ha detto il premier. La letteratura economica più recente e più accreditata ha mostrato che gli interventi per il Sud o non hanno funzionato o, addirittura, sono stati addirittura controproducenti.

 

Prendiamo per esempio i fondi europei delle politiche di coesione. In Italia questo intervento non ha sostenuto lo sviluppo ma ha accresciuto la corruzione e peggiorato la distribuzione del reddito (chi al Sud già stava meglio ha beneficiato più che proporzionalmente dei soldi europei: un vero paradosso per chi ha a cuore la distribuzione del reddito). Questo esito è dipeso dalla bassa qualità del contesto istituzionale nei territori beneficiari della spesa. Le conclusioni, sconfortanti, sono simili per altre politiche per il Sud (si veda il volume di Accetturo e de Blasio “Morire di aiuti”). A fronte di questi fallimenti passati, occorre un argomento davvero molto forte per sostenere che in futuro le cose andranno diversamente. E questo argomento non c’è: è davvero difficile credere che le assunzioni di personale del ministro Renato Brunetta per irrobustire la pubblica amministrazione possano magicamente innalzarne la capacità di spendere bene i fondi. Possano invertire l’onere della prova. E il rinvio al coinvolgimento degli enti territoriali, sebbene condivisibile in punto di teoria (chi sta sul territorio ne conosce meglio i bisogni), suona vuoto di fronte a élite locali spesso poco interessate al bene collettivo.

 

Infine, parlando di Sud, resta sempre sullo sfondo un’ambiguità – questa di certo non attribuibile nemmeno lontanamente a Draghi ma a parti della maggioranza che lo sostiene sì – su cosa sia socialmente desiderabile in tema di divari territoriali. Molta retorica meridionalista e rivendicazionista punta all’uguaglianza tout court tra le due aree (si pensi alla polemica dell’ex ministro Giuseppe Provenzano su Milano che sottrae talenti al Meridione decretandone così il declino). Ma oltre questo dibattito locale, quasi ombelicale, c’è un dato molto più eloquente sul quale riflettere: nell’ultimo decennio il prodotto pro capite del Centro-Nord è cresciuto solo leggermente più che al Sud ma, soprattutto, di gran lunga meno che in Francia, Germania e Spagna: un dato drammatico per entrambe le aree del paese. Una cultura del governo dei divari territoriali più matura deve smettere di alimentare stancamente la guerra ideologica tra vecchi e futuri poveri per evitare che l’intera economia nazionale diventi il Mezzogiorno d’Europa. 

 

Guglielmo Barone, Università di Bologna

Di più su questi argomenti: