Il piano
Cattiva idea dell'Ue: limitare il ruolo del mercato per mitigare la crisi
Ieri la Commissione europea ha presentato il piano RePowerEu per affrontare il vulnus energetico. Il percorso però sarà tutt’altro che in discesa. Almeno per tre motivi: la crescente entropia normativa, la diversificazione che ignora la produzione interna e l'intenzione di contenere il ruolo del mercato per attenuare gli effetti della crisi
Ieri la Commissione europea ha presentato il piano REPowerEU, un pacchetto di comunicazioni e proposte legislative con cui l’Europa intende affrontare la crisi energetica. L’idea di fondo è che per uscire dalla situazione di emergenza sia necessario, da una parte, darsi obiettivi di decarbonizzazione ancora più sfidanti. Dall’altra, limitare il ruolo dei mercati. Per raggiungere i nuovi target di decarbonizzazione, il piano propone azioni e obblighi in materia di efficienza energetica, rinnovabili e diversificazione delle fonti energetiche. Su quest’ultimo punto, in particolare, puntando a idrogeno e Gnl. Se dai documenti della Commissione non è possibile stabilire con certezza quali saranno i tempi, costi ed effetti delle azioni che Bruxelles suggerisce di adottare è però possibile dedurre che il percorso sarà tutt’altro che in discesa. Almeno per tre motivi. Il primo è la crescente entropia normativa. Attualmente, l’Europa si è impegnata a tagliare entro il 2030 le emissioni di gas a effetto serra del 40 per cento rispetto al livello del 1990. A questo, si aggiunge l’obiettivo di crescita delle fonti rinnovabili negli usi finali di energia al 32 per cento. Tuttavia, nel 2021, questi target sono stati innalzati, rispettivamente, al 55 e al 40 per cento. I Piani nazionali energia e clima, predisposti all’inizio dello scorso anno, devono ancora recepire tali aggiornamenti e che pure andranno conseguiti in tempi estremamente brevi. REPowerEU alza ulteriormente l’asticella sulle rinnovabili al 45 per cento. L’impressione è che sia una rincorsa verso traguardi che continuano ad allontanarsi e che rendono impossibile programmare con la necessaria stabilità gli investimenti necessari.
Il secondo motivo ha a che fare con la diversificazione. Non c’è dubbio che l’Europa debba affrancarsi il più rapidamente possibile dal gas russo e che, per farlo, debba approvvigionare gas dai paesi dove è disponibile. Ma che senso ha ignorare in modo quasi ostentato le potenzialità della produzione interna? Quest’ultima è citata solo una volta, in un inciso, per dire che “una parte della capacità di generazione elettrica da carbone potrebbe essere utilizzata più a lungo di quanto originariamente previsto, con un ruolo anche per il nucleare e le risorse domestiche di gas”. Eppure, se prendiamo sul serio l’impegno a ridurre la domanda di gas, le estrazioni dal sottosuolo europeo possono avere un’incidenza rilevante nel soddisfare il fabbisogno complessivo.
Il terzo motivo ha a che fare con l’intenzione di limitare il ruolo del mercato per mitigare gli effetti della crisi. Bruxelles apre, sebbene in via temporanea, all’adozione di tetti al prezzo all’ingrosso e retail del gas e dell’energia elettrica. Tetti che si tradurrebbero poi in limiti ai prezzi dell’elettricità. Si tratta di misure non giuridicamente vincolanti, cosa che contribuirà a rendere ulteriormente incoerenti le risposte alla crisi già ampiamente eterogenee degli Stati Membri. Dall’altro, gli interventi suggeriti vanificano la funzione più importante dei mercati, cioè fornire segnali di prezzo che aiutino a guidare le decisioni di investimento e i comportamenti di consumo. Un paradosso se si pensa alla mole di investimenti che saranno necessari per conseguire gli obiettivi del Piano REPowerEU e allo sforzo che questo richiede anche su risparmio ed efficienza energetica.
C’è in questo una torsione del funzionamento dell’Unione: per trent’anni abbiamo imposto agli Stati di adeguarsi a un modello che ha prodotto efficienza e concorrenza, pur con tutti i suoi limiti. Adesso non solo si concedono deroghe e sospensioni nel nome di imperativi politici di breve termine, ma addirittura si lascia agli Stati la facoltà di sganciarsi dai principi di mercato ognuno a modo suo. E si consente di spendere miliardi di denaro pubblico per temperare i prezzi delle commodity, quando sono le stesse previsioni della Commissione a dire che purtroppo essi sono destinati a restare a lungo attorno ai livelli attuali. Insomma: dopo aver impegnato decenni per costruire il mercato, abbiamo deciso che possiamo buttare tutto a monte se i suoi esiti contraddicono le nostre aspettative, sebbene a essere incoerenti con la realtà non siano i mercati ma le nostre astrazioni burocratiche.
Diceva Milton Friedman che un elefante è un topo costruito secondo le istruzioni del governo: non avrebbe mai immaginato che a Bruxelles avrebbero costruito un intero zoo.