opinioni a confronto
Re-shoring e investimenti in Italia: le opportunità della nuova globalizzazione. Un girotondo
Come riportare in Italia alcune linee produttive? Come attrarre nuovi investitori? Idee per il paese del futuro
Confindustria e sindacati sono disponibili a sedersi intorno al tavolo col governo Draghi per ragionare di reshoring e attrattività dell’Italia. E’ quanto emerge da un girotondo di opinioni promosso dal Foglio sul ritorno delle catene produttive e sull’indipendenza degli approvvigionamenti dopo pandemia e guerra in Ucraina. “Le condizioni internazionali stanno accelerando la tendenza che era già in atto verso un’economia di prossimità – dice Maurizio Marchesini, vicepresidente di Confindustria per le filiere produttive e le medie imprese – ma non è la fine della globalizzazione, semmai è l’inizio di una nuova globalizzazione che premia la stabilità e l’affidabilità dei paesi nei rapporti economici e commerciali con gli altri paesi”. Al di là di come lo si interpreti o di come lo si voglia chiamare, reshoring, backshoring o friendshoring, questo fenomeno ha, secondo Confindustria, la possibilità di trasformarsi in un’opportunità per l’Italia, a patto che vengano messe in campo politiche per rendere più forti le filiere produttive.
E pure a condizione che il ritorno “a casa” delle lavorazioni venga accolto da un contesto di automazione e digitalizzazione che renda possibile realizzare gli stessi beni a prezzi concorrenziali sul mercato. Ma come si fa? “L’idea del viceministro Misiani esposta sul Foglio di utilizzare le otto Zone economiche speciali del Mezzogiorno come piattaforme per il reshoring è interessante – prosegue Marchesini – ma a patto che queste zone siano connesse al mondo della ricerca e dell’Università che ne garantiscono un certo livello di conoscenze e competenze. Non vedo, però, perché escludere altre aree del paese che presentano condizioni favorevoli all’insediamento di nuove imprese. Inoltre, non mi convince l’idea della gestione commissariale (prevista dalla legge che ha istituito le Zone economiche speciali, ndr) mentre i fattori che favoriscono l’attrattività economica dei territori restano una burocrazia snella e veloce, infrastrutture efficienti e incentivi fiscali”.
Per Confindustria, che al tema del ridisegno delle catene del valore ha dedicato più di uno studio (l’ultimo del 5 maggio) il riavvicinamento all’Europa di attività delocalizzate vede come paesi interessati soprattutto Francia e Italia. Cosa serve al nostro paese per essere attrattivo? “Un’offerta nazionale, intesa come base di conoscenze tecnico-produttive e rete di fornitura ad esse associata, in grado di intercettare la domanda di produzione di rientro dall’estero, e condizioni economiche vantaggiose per le imprese multinazionali collocate a valle delle filiere”. In questo senso il Pnrr rappresenta un’opportunità anche se non prevede alcuna misura specifica per il reshoring essendo stato partorito quando i colli di bottiglia – con blocchi come quello di Shanghai che si protraggono tutt’oggi – non erano ancora un problema.
Ma a quali condizioni i sindacati sarebbero disponibili ad avallare la riapertura di catene di montaggio in Italia visto che a essere delocalizzate negli ultimi venti-trent’anni sono state soprattutto produzioni ad alta intensità di lavoro ma a basso valore aggiunto e che, quindi, rendevano poco convenienti gli investimenti delle imprese? “Su questo tema siamo pronti a discutere con le parti sociali”, afferma il segretario dei metalmeccanici della Cisl, Roberto Benaglia: “Ci sono settori come la componentistica per l’automotive, le macchine utensili, la termomeccanica, solo per fare qualche esempio, che rappresentano vere eccellenze dell’Italia e non mi sorprenderebbe se nascesse qualche campione nazionale che sia in grado di competere sul mercato globale e allo stesso tempo abbia il controllo dell’intero processo. Del resto, la tendenza al reshoring non è una novità, in passato dei casi, seppur sporadici, ci sono già stati. Penso al ritorno della Whirlpool dalla Polonia per esempio, che come sindacato abbiamo sostenuto. Ma è vero che adesso c’è un’emergenza e dobbiamo farci trovare preparati: assistenza tecnologica e agevolazioni fiscali per il lavoro sono indispensabili perché questa sfida possa essere colta non solo dalle grandi ma anche dalle piccole e medie aziende. Se si deve fare una cabina di regia a livello nazionale si deve poter ragionare di queste cose”.
Il punto è che la differenza tra il costo della manodopera tra i paesi dove le aziende hanno delocalizzato e l’Italia, che remunera meno le sue maestranze rispetto alla media europea ma ha una tassazione molto elevata, dovrebbe essere compensato in parte dall’automazione e in parte da sgravi fiscali. E’ così? “Non possiamo pensare di offrire gli stessi salari di alcune zone del mondo quando in Italia stiamo vivendo una fase di disaffezione al lavoro a causa di stipendi bassi e ancora insufficienti livelli di welfare”. Proprio il costo del lavoro, secondo Lucio Poma, professore di Economia all’Università di Ferrara e responsabile scientifico di Nomisma, “è una delle asimmetrie, come i regimi fiscali e i costi ambientali, che hanno favorito la delocalizzazione dell’industria in Italia. Se non si rimuovono queste asimmetrie sarà difficile incentivare il reshoring, fenomeno che andrebbe distinto dalla capacità di attrarre nuove imprese nel nostro paese, capacità che è sicuramente aumentata con il governo Draghi”.
Bisogna intendersi sul significato delle parole, insomma, un conto è richiamare fasi di un processo di lavorazione che erano state portate fuori perché troppo care in patria, altro conto è essere attrattivi per nuovi investimenti produttivi. “Si ragiona come se si trattasse della stessa cosa, mentre questa differenza implica politiche economiche diverse”. Poma dice di trovare giustificato da parte dell’Unione europea l’esigenza di riappropriarsi del controllo di alcuni settori strategici, come i microchip, ma proprio questo dimostra che smontare la globalizzazione non sarà facile. “Trovo straordinario lo sforzo della Ue di aumentare la produzione europea dei semiconduttori con la legge che stanzia ben 11 miliardi di euro, ma se tutto va bene il risultato sarà di portare questa produzione al 20 per cento entro il 2030 dall’attuale 10 per cento, quando il colosso di Taiwan, Tsmc, oggi da solo copre il 34 per cento del fabbisogno mondiale”.
Intanto, nel mondo della finanza, abituato ad anticipare le tendenze, quella del reshoring viene considerata ormai una variabile già sul tavolo degli investitori finanziari. In un recente intervento, Antonio Amendola, gestore azionario di AcomeA sgr, ha spiegato perché: “Le analisi delle catene di fornitura, la provenienza delle materie prime, sono un passo fondamentale delle analisi di investimento. Essere sostenibile significa anche avere il pieno controllo delle proprie catene di approvvigionamento, conoscere chi sono i tuoi fornitori e se loro stessi attuano comportamenti sostenibili”. Una nuova epoca sta per cominciare.