scenari
Perché l'Italia non soffrirà il rincaro del prezzo del grano
"Abbiamo una carenza sopportabile per quello tenero e una produzione di quello duro quasi sufficiente a soddisfare il fabbisogno alimentare ma non quello industriale", dice Alberto Retieni, ordinario di Chimica degli alimenti all’Università Federico II
Gli effetti sull’inflazione dei rincari del prezzo del grano causati dal blocco delle esportazioni dall’Ucraina si vedranno solo a novembre. Questo perché a differenza dell’aumento dei prezzi dell’energia, che si riflette quasi immediatamente nei servizi pubblici e nei combustibili, le variazioni delle quotazioni dei cereali si trasmettono più lentamente ai consumatori finali. E’ quanto osserva la Bank of America (Bofa) in una ricerca in cui prevede che “sulla scia delle interruzioni delle catene mondiali di approvvigionamento e dello choc dei prezzi dell’energia, l’impennata dei prezzi dei beni alimentari agricoli aumenterà ulteriormente l’accumulo di pressioni inflazionistiche globali”. Bofa ritiene che i paesi emergenti siano i più vulnerabili di fronte all’incremento dei prezzi a causa dell’elevata importazione di cibo per cui “la dinamica in atto solleva preoccupazioni sul rischio di instabilità politica in tali paesi e l’Africa sembra essere la più esposta”. Infatti, il periodo di sei mesi stimato a livello globale per vedere gli effetti dell’inflazione alimentare è frutto di una media che va dai due-cinque mesi degli emerging market ai nove-dieci mesi in quelli sviluppati, Europa compresa.
Questo non vuol dire che le navi cariche di grano bloccate dai russi nei porti ucraini non rappresentino un’emergenza, ma che la questione andrebbe riconsiderata sotto un’altra luce, come suggerisce anche Alberto Retieni, ordinario di Chimica degli alimenti all’Università Federico II ed esperto delle dinamiche che muovono i mercati mondiali del grano e dei suoi derivati. “Cresce l’allarme per la crisi alimentare globale, ma l’Italia si trova in una posizione meno sfavorevole di quanto si possa pensare”, dice al Foglio. “Non è un caso che Draghi si stia adoperando per la creazione di corridoi umanitari per far uscire le navi dai porti dell’Ucraina, ma senza suscitare particolari allarmismi per quanto riguarda il nostro paese, che sta cercando di giocare un ruolo nella partita che potremmo chiamare ‘gas for food’ con i paesi del bacino del Mediterraneo: aumentiamo da loro l’importazione di energia e in cambio offriamo sostegno alimentare”. Retieni, che è stato tra i primi a denunciare il pericolo di un’inflazione da carboidrati quando lo scorso autunno, in seguito alla siccità in Canada, crollò l’offerta mondiale di grano duro, con effetti anche sui pastai e panificatori italiani, spiega che in realtà il nostro paese è molto più dipendente dall’estero per il mais che per il grano stesso: “Abbiamo una carenza sopportabile per quello tenero e una produzione di quello duro quasi sufficiente a soddisfare il fabbisogno alimentare ma non quello industriale”. La differenza con paesi come Egitto, Algeria, Marocco è proprio questa: “Dai nostri supermercati non mancano e non mancheranno pane e pasta, semmai potrebbe non esserci sufficiente materia prima per fabbricare prodotti e semilavorati che esportiamo all’estero”.
Negli giorni scorsi il presidente di Italmopa, l’associazione industriali Mugnai d’Italia, Emilio Ferrari, ha denunciato, infatti, segnali di carenza di offerta di grano tenero sul mercato italiano nonostante l’incremento delle quotazioni. “Come spesso succede in questi casi si fa largo la speculazione”, dice Retieni, “ma non credo affatto che la crisi in Ucraina produrrà per l’Italia o per l’Europa una reale carenza di grano che, in ogni caso, potrebbe essere affrontata riducendo gli enormi sprechi che si fanno nelle nostre case. Disponiamo, inoltre, di scorte importanti, che tra l’altro rappresentano uno dei motivi per cui l’effetto inflazione arriverà a scoppio ritardato. La verità è che la crisi del grano e anche dell’olio ucraino potrebbe destabilizzare molti paesi extra Ue”. Mentre per i paesi ricchi il tema della food security si traduce nel vedere ridurre l’abbondanza, per zone come l’Africa occidentale equivale a non avere più cibo a sufficienza. “Questa crisi alimentare si sta innestando su una grave crisi climatica e su una altrettanto grave crisi economica molto simile a quella del 2008-2010. La conseguenza sarà una maggiore pressione migratoria dalle aree più povere verso l’occidente perché la sopravvivenza di intere popolazioni, che dipendono dalla importazione di derrate alimentari essenziali, non potrà attendere troppo”.