i dati della ripartenza
Il boom di turisti mostra un altro lato dell'attrattività italiana: gli hotel
Nel 2021 molti alberghi hanno cambiato proprietà passando in mani straniere, con un incasso pari a 2,1 miliardi. Quest'anno la caccia degli investitori continua ma l'incertezza sulla privatizzazione delle spiagge frena gli affari
Dopo il boom delle città d’arte a Pasqua, l’Italia è in piena ripartenza turistica post Covid con metà degli stabilimenti balneari già aperti grazie al caldo anticipato (attenzione, però, alla Goccia fredda, la perturbazione proveniente dal nord Atlantico). Gli ultimi due week end hanno fatto registrare il pienone non solo nelle “big four”, Roma, Milano, Firenze e Venezia, ma anche a Torino e Napoli grazie a eventi come Eurovision e il Salone del libro e il giro d’Italia. Trovare posto negli alberghi è diventata un’impresa. Ed è qui la vera novità. Mentre dal punto dei vista dei flussi, le presenze stanno tornando ai livelli pre-Covid grazie soprattutto al turismo domestico (gli italiani si scoprono sempre di più amanti dell’Italia), dal punto di vista degli investimenti sono gli stranieri a fare la differenza.
Nel 2021, il volume delle compravendite nel settore alberghiero italiano è stato di 2,1 miliardi, meno del 2019 che, però, era stata un’annata eccezionale, ma ben più elevato rispetto alla media degli ultimi dieci anni come spiega al Foglio Marco Zalamena, Head of Hospitality di Ey in Italia: “C’è un grande ritorno degli investitori esteri in Italia, che si posiziona al terzo posto per attrattività in Europa, dopo Uk e Germania e più di Francia e Spagna. Lo scorso anno ci sono state 57 transazioni che hanno visto un’ottantina di alberghi cambiare proprietà e in circa il 65-70 per cento dei casi gli acquirenti erano fondi di private equity esteri”. La crisi sanitaria con tutte le sue restrizioni ha reso onerosa e complessa la gestione delle strutture e in molti casi i proprietari, soprattutto famiglie, si sono convinti a passare la mano, ma andrebbe sfatato il mito della “svendita” perché, dice Zalamena, le cessioni sono avvenute ai valori di mercato pre Covid e “l’esito finale di questo processo sarà un miglioramento della qualità dell’offerta alberghiera in Italia grazie ai cospicui investimenti in ristrutturazioni che i nuovi proprietari stanno realizzando”. Nel settore alberghiero è così: la gran parte dei capitali in circolazione è estera perché gli italiani investono sempre meno e si stanno progressivamente ritirando da un business che assorbe crescenti risorse per reggere la competizione delle grandi catene internazionali.
Tra le operazioni più importanti del 2021, si potrebbero ricordare la cessione del gruppo Bluserena della famiglia Maresca di Pescara al fondo spagnolo Azora, la vendita del Baglioni Hotel di Venezia (famiglia Polito) agli inglesi di Reuben Brothers, e ancora il famoso Cristallo di Cortina ceduto dai Gualandi al fondo britannico Attestor. E in qualche caso l’acquirente è stata la Cdp come per il Lefay del Lago di Garda. Ma per lo più sono stati nomi storici dell’hotellerie italiana a uscire di scena: è il caso di Eligio Paties, tornato a fare il ristoratore dopo aver venduto il Bonvecchiati di piazza San Marco al fondo tedesco European Lodging Recovery. Ma la lista è davvero lunga. “Sono entrati in scena private equity specializzati attratti dalla possibilità di conquistare in Italia strutture di lusso che alle spalle avevano una storia, un brand, ma che avevano bisogno di investimenti per poter essere riposizionati in una fascia di mercato alta. Stiamo parlando di ristrutturazioni il cui costo varia tra 10 e 50 milioni di euro e che stanno avendo una ricaduta molto positiva sull’economia locale anche perché questi fondi puntano soprattutto sul made in Italy, dagli arredi all’interior design. Insomma, si è innescato un circolo virtuoso a beneficio di professionisti e artigiani del nostro paese”.
I private equity, però, non gestiscono alberghi, giusto? “No, probabilmente molti grand hotel saranno rivenduti in breve tempo e in qualche caso sta già avvenendo, ma alla fine ci sarà un riposizionamento grazie al quale l’Italia potrà attirare un certo tipo di clientela internazionale che non è mai venuta nel nostro paese in vacanza proprio perché non ha trovato strutture in linea con i propri standard”. La caccia all’acquisto di grand hotel italiani continua anche nel 2022, anche se l’impasse politica che si è creata sulla privatizzazione delle spiagge ha di fatto creato una situazione di incertezza per investitori interessati a strutture ricettive collegate a lidi che potrebbero essere messi in gara. “Finché il quadro non sarà chiarito è possibile ci sia qualche rallentamento nelle transazioni, ma nel complesso il mercato degli investimenti alberghieri sta vivendo un momento molto favorevole e che, a differenza di altri settori, non è impattato dal conflitto in Ucraina”.