Abbiamo conquistato il benessere, che si fonda su quattro colonne: plastica, acciaio, cemento e ammoniaca. Il problema è che questo sistema dipende ancora dai combustibili fossili
Qualche anno fa, nel 2017, il New York Magazine pubblicò un articolo del giornalista David Wallace-Wells che descriveva in dettaglio i potenziali impatti del cambiamento climatico, quelli che ci pioveranno in testa se non verrà intrapresa alcuna azione per ridurre le emissioni di gas serra. Gran parte dell’articolo esplorava con molti dettagli (solo) gli scenari del “caso peggiore”: impatti davvero nefasti, quindi addio talk televisivi, giornate al mare con la settimana enigmistica e la dolce brezza pomeridiana, addio all’agricoltura e al cibo che conosciamo. Aggiungiamo anche l’accelerato scioglimento dei ghiacci polari, l’innalzamento del livello dei mari e il moltiplicarsi delle inondazioni lungo le coste, migrazioni repentine e globali, insomma capite bene che la lettura fu per me scoraggiante. Lo scenario era orrifico e i rimedi si sa sono facili a dirsi in un libro, ma nella realtà il tempo è poco, gli interessi in gioco giganteschi e globali e la vita non è poi così lunga. Non tanto per programmare nemmeno una cena la settimana prossima, figuratevi a un radicale cambio di vita. L’articolo poi, raccogliendo alcune critiche mosse a David Wallace-Wells, è stato ampliato e trasformato in un libro nel quale l’autore, precisando che lui è un americano come tanti e ama gli hamburger, da una parte rilancia e infatti il libro si intitola: La Terra inabitabile. Una storia del futuro (Mondadori).
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