La decisione della Commissione europea sottintende la volontà di ripristinare, quando possibile, la tradizionale struttura dei meccanismi che regolano l’Unione. Una visione miope rispetto ai nuovi orizzonti politici cui dovrebbe tendere il vecchio continente
La decisione della Commissione europea di prolungare alla fine del 2023 la sostanziale sospensione del Patto di stabilità e crescita è stata accolta nel nostro paese con un prevalente giudizio positivo. Ma una lettura più attenta evidenzia che la proroga si presta a una duplice interpretazione. Può indicare l’orientamento ad avere più tempo per rivedere le regole fiscali europee ma potrebbe rappresentare una pericolosa insidia per l’Italia e per le prospettive riformiste dell’architettura istituzionale dell’Unione europea. E osservando gli orientamenti dei partner il pendolo delle probabilità tende decisamente verso lo scenario pessimista.
Una riforma del Patto di stabilità, l’ennesima, è fuori discussione. La crisi esplosa con la pandemia ha certificato la fragilità del sistema di coordinamento dell’Unione monetaria e di regole fiscali accumulate in vent’anni che si fondano su quattro variabili: deficit, debito, spesa e saldo del bilancio strutturale. La stessa Commissione europea poco prima della pandemia aveva avviato un dibattito pubblico sull’efficacia della sorveglianza economica.
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