L'ecommerce sta cambiando le imprese? Parla Marseglia, country manager di Amazon
Rispetto all’epoca pre-pandemica, la percentuale di imprese del nostro paese che vende online è passata dal 4 per cento al 13 per cento nel 2021. Mariangela Marseglia al Foglio sottolinea il "crescente apprezzamento per il made in Italy sui mercati internazionali"
Se c’è una lezione che le imprese italiane hanno imparato da pandemia e guerra in Ucraina è che la diversificazione, non solo delle forniture di materie prime e semilavorati, ma anche dei mercati di sbocco e dei canali di distribuzione, è fondamentale per affrontare qualsiasi tipo di crisi, sanitaria o geopolitica che sia. Essere dipendenti da un paese, da un committente, da una catena di negozi, espone l’azienda al rischio di crolli improvvisi di fatturato fino alla chiusura. Per questo, l’ecommerce si è rivelato un potente alleato del made in Italy che in questa fase sta ricevendo una forte spinta da Palazzo Chigi.
Rispetto all’epoca pre-pandemica, la percentuale di imprese del nostro paese che vende online è passata dal 4 per cento al 13 per cento nel 2021, ancora al di sotto della media europea che è del 18 per cento, con punte del 24-25 per cento in paesi come Francia e Spagna, ma pur sempre una quota consistente e in continua crescita grazie anche a iniziative come il patto per l’export che vede impegnate istituzioni (Farnesina e Ice) e partner privati (Amazon) in un’iniziativa comune di promozione dell’ecommerce che ha consentito a 6.000 aziende tricolori di essere presenti in 33 paesi.
Non è un caso che il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, abbia parlato di “diplomazia economica” sullo sfondo di “una grave crisi internazionale” quando, ieri mattina, ha presentato il Made in Italy Days, rassegna di prodotti italiani (soprattutto cibo e moda) che si chiuderà il 2 giugno all’ambasciata italiana a Washington. “Stiamo lavorando per favorire lo sbocco sui mercati alternativi per quelle aziende che già vivevano e avranno problemi a causa della guerra in Ucraina”, ha detto Di Maio annunciando che è stato reso “strutturale” nella legge di Bilancio lo stanziamento per l’export di 1,5 miliardi per i prossimi cinque anni.
Il canale dell’ecommerce, che vuol dire soprattutto vendite al retail, si sta, dunque, traducendo in un’arma strategica difensiva per le aziende perché consente loro di accedere a più mercati di sbocco nello stesso momento anche in caso di scenari avversi. “La pandemia ha dimostrato chiaramente che chi dipendeva dai canali tradizionali, vale a dire negozi e centri commerciali, è stato penalizzato rispetto a chi era già presente online – spiega al Foglio Mariangela Marseglia, country manager per Italia e Spagna di Amazon – Anzi, in molti casi è successo che realtà di piccole e anche piccolissime dimensioni abbiano visto esplodere letteralmente gli ordini grazie al fatto di avere una vetrina digitale”.
Sui portali di Amazon sono presenti complessivamente 18 mila piccole e medie aziende italiane che rappresentano 600 milioni di fatturato in termini di export. Di questo universo, 4.500 sono aziende del made in Italy in senso stretto. “La rivoluzione dell’ecommerce sta anche nel fatto che imprenditori che non hanno mai potuto partecipare a una fiera all’estero per mancanza di risorse possono farsi conoscere attraverso la piattaforma elettronica e contare su una rete logistica e di distribuzione di livello internazionale, che si fa carico anche delle difficoltà che possono nascere lungo questi percorsi. Lo abbiamo visto con i colli di bottiglia, il rincaro delle materie prime, il caro carburante: abbiamo cercato di fare in modo che questi problemi arrivassero il meno possibile ai nostri clienti”.
In Italia c’è ancora un gap digitale da colmare ed è per questo che l’ecommerce è sotto la media europea. Non è così? “In effetti, ci sono ampi spazi di crescita ma per noi questo rappresenta un’opportunità considerato il crescente apprezzamento per il made in Italy sui mercati internazionali. E’ fondamentale cercare di stimolare le aziende che non lo hanno ancora fatto ad accedere alle piattaforme fornendo loro anche supporto tecnico e formativo. In questo è fondamentale la collaborazione tra pubblico e privato”. Una delle maggiori critiche che viene rivolta al gigante mondiale dell’ecommerce è di contribuire all’inquinamento urbano con i suoi mezzi su gomma che vanno su e giù tutto il giorno per le consegne anche di singoli pezzi. Un mito che sarebbe da sfatare come ha dimostrato un recente studio della società di consulenza Oliver Wyman secondo cui i negozi fisici causano tra 1,5 e 2,9 volte più emissioni di gas serra rispetto allo shopping online. “Chiunque ci conosca sa che i nostri camion quando arrivano in un condominio scaricano non un solo prodotto ma numerosi colli e questo è il frutto di un lavoro di ottimizzazione delle consegne diventato sempre più capillare – obietta Marseglia – Non è forse più inquinante prendere l’auto per andare in centro per fare un’unica compera?”.