Salario minimo, orario di lavoro. Ecco l'agenda della Cgil per il campo largo a sinistra
Il sindacato guidato da Landini si prepara al congresso che si terrà a fine anno con un programma di trenta pagine. Al centro c'è il lavoro. E un nuovo "no" a un Patto sociale: "Non ne vediamo le condizioni"
La Cgil ha avviato ufficialmente nei giorni scorsi il percorso del congresso (si terrà a fine anno) con due forti obiettivi di base. Il primo: ricostruire qualcosa di visibile e concreto a sinistra, un campo largo o stretto che sia, ma comunque riconoscibile come “sinistra”, cosa che oggi, nella valutazione del sindacato di Maurizio Landini, manca del tutto. Il secondo: dotare questa eventuale area politica di un programma dove sia altrettanto riconoscibile il core business caro al sindacato, ovvero il lavoro, indicando dettagliatamente le direzioni da prendere. I due obiettivi sono contenuti nel documento di discussione per le assise generali (“Il lavoro crea il futuro”) esaminato dal direttivo della confederazione il 31 maggio scorso. Trenta pagine nelle quali si illustrano dettagliatamente le linee guida per l’azione dei prossimi quattro anni, con diverse interessanti novità.
Per la Cgil il punto fondamentale è innanzitutto come restituire centralità al lavoro, ritenendo che la sua svalorizzazione vada di pari passo con “l’indebolimento della democrazia” e l’affermarsi dei populismi. E la crisi del lavoro è anche la crisi della sinistra: “La parola sinistra non sta più a indicare la centralità del lavoro, non rappresenta un blocco sociale, ma ha spostato il suo centro gravitazionale sul terreno giuridico e culturale’’, afferma il documento. Non solo: si è “affievolito il carattere alternativo dei programmi tra schieramenti politici diversi”, col risultato che si fa strada il luogo comune “non ci rappresenta più nessuno’’, alimentando “l’allontanamento delle persone dalla politica e dalle urne”. Di qui, l’ambizione della confederazione di affermare “una nuova cultura politica”. Non facendosi essa stessa partito, o almeno non nei termini comuni, ma costringendo i partiti a confrontarsi con uno spazio nuovo e autonomo: “Bisogna aprire una nuova stagione democratica che abbia il concorso delle organizzazioni sociali e dei movimenti, dentro cui gli stessi partiti dovranno ridefinire se stessi’’.
Quanto agli obiettivi più strettamente sindacali, la Cgil ribadisce un netto “no’’ a un Patto sociale (“non ne vediamo le condizioni’’) così come a una “indistinta concertazione”: quest’ultima resta “un metodo importante, che “presuppone obiettivi condivisi”. ma non può essere “un fine”. Però il nodo fondamentale e più urgente resta come risolvere quella che la Cgil definisce “la pandemia salariale’’, ovvero le retribuzioni più basse d’Europa. I nuovi contratti dovranno dunque “porsi l’obiettivo della crescita complessiva delle retribuzioni” con “adeguati aumenti che vadano anche oltre l’inflazione" e considerando “definitivamente superato” l’attuale parametro dell’Indice dei prezzi al consumo. E ancora, via libera al salario minimo, nel meccanismo studiato dal ministro Orlando (definito “condivisibile’’ dalla Cgil), collegato al “riconoscimento del valore erga omnes dei contratti” e a una legge sulla rappresentanza. Sempre in tema di retribuzioni, va invece contrastata la “gestione unilaterale di quote crescenti di salario individuale discrezionale’’ da parte delle imprese.
Altro punto centrale è, a sorpresa, l’orario di lavoro. Tema accantonato da anni ma che la Cgil recupera, affermando che “la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario è sempre più un obiettivo strategico”. Per realizzarlo, si ritiene necessaria “una legislazione di sostegno”, in parallelo con “una strategia contrattuale sempre più estesa”, che proponga la riduzione dell’orario nelle piattaforme sia nazionali sia aziendali.
Tutto questo la confederazione dichiara di volerlo realizzare in sintonia e unità con gli altri sindacati. Ma se la Uil è ormai da mesi sulla stessa linea, c’è da chiedersi quanto la Cisl potrà condividere di queste proposte. Soprattutto non mancando, nel documento, una chiosa che sembra diretta verso via Po: “Contrapporre sindacato conflittuale e sindacato partecipativo come due modelli antitetici non ha assolutamente senso, questi momenti sono sempre necessariamente intrecciati e uno rinvia all’altro".