Il modello Scandinavo
Come un'industria automobilistica fallita è rinata con l'elettrico
La Scandinavia una decina di anni fa sembrava destinata ad archiviare l’avventura nell’auto. Ma a Skelleftea, un comune nell'estremo nord, a fine 2021 è stata sfornata la prima batteria elettrica made in Europe
“Il Parlamento europeo ha preso la decisione giusta. Ci voleva un gesto netto, senza ambiguità”. Arriva da Nord la voce fuori dal coro dell’industria a quattro ruote, preoccupata (non a torto, probabilmente) dalle tante sfide imposte dallo stop ai motori a combustione antro il 2035. Ma non la pensa così Jim Rowan, il manager inglese scelto mesi fa dai cinesi di Geely per guidare la controllata Volvo a una sfida più che ambiziosa: entro il 2030 la casa svedese venderà solo auto elettriche. Cinque anni prima del traguardo indicato da Strasburgo. E a pilotare l’operazione, già a buon punto visti i successi della casa, sarà un manager che in trent’anni di lavoro si è occupato di quasi tutto, salvo che di auto. Rowan ha guidato in passato Dyson e Blackberry, si è occupato di digitalizzazione, innovazione, engineering e tanto altro che gli tornerà utile a guidare un gruppo che, sempre nel 2030, venderà solo on line, saltando ogni intermediazione tra azienda e cliente.
Non è l’unica rivoluzione maturata nel profondo nord, in quella Scandinavia che, dopo il fallimento di Saab e la vendita di Volvo ai cinesi da parte di Ford, una decina di anni fa sembrava destinata ad archiviare l’avventura nell’auto. La vera scommessa è quella di Skelleftea, comune dell’estremo Nord, dove a fine 2021 è stata sfornata la prima batteria elettrica made in Europe nell’impianto creato da Northvolt, l’azienda fondata da due manager cresciuti alla corte di Elon Musk: lo svedese Peter Carlsson e il torinese Paolo Cerruti, 52 anni, una laurea al Politecnico, l’immancabile gavetta al centro ricerche Fiat prima di prendere il volo in Renault Nissan e rispondere alla chiamata di Tesla. “Lì mi è venuto a cercare il vecchio collega Carlsson per una consulenza su un piano di fattibilità per un’industria di batterie in Scandinavia, a cura dell’Agenzia nazionale dell’energia. Avevamo visto nascere le gigafactory di Tesla in Nevada, dunque perché no? Viaggiavamo tra Europa e Asia per sondare interessi e mettere su un business case. Il progetto si faceva troppo interessante per lasciarlo scappare e decidemmo di votarci al 100 per cento. Nell’autunno 2016 raccogliemmo 12 milioni per uno studio di fattibilità e radunammo una squadra di 20 persone”. Oggi Northvolt vanta tra gli azionisti Volkswagen, forte del 20 per cento del capitale, Goldman Sachs e altri soci primari (anche Intesa Sanpaolo). A mesi nascerà un secondo stabilimento in Svezia e prenderà il via la gigafactory Volkswagen di Sallzgitter. E sarà solo l’inizio. L’ex start up spuntata a pochi chilometri dal circolo polare artico vanta ormai contratti miliardari con Polestar, Bmw e Volvo, progetta tir elettrici con Scania e ha stretto un’asse con i portoghesi di Galp per garantirsi la materia prima. Spazio ce n’è in abbondanza, se l’industria europea vuole emanciparsi dal quasi monopolio dell’Asia, che controlla il 70 per cento della produzione di batterie per l’auto elettrica con il rischio paventato da Carlos Tavares, ceo di Stellantis, di restare a secco già nel 2024 come già capita per i chips.
Ma per quale motivo, c’è da chiedersi, in Europa oggi sono in funzione, oltre all’impianto di Skelleftea, due sole altre fabbriche di batterie, una in Polonia controllata dalla coreana Lg, l’altra a Budapest di proprietà Samsung? Il ritardo dell’Europa è probabilmente il frutto delle incertezze dei Big del settore, in forte crisi di credibiltà (specie in Germania) dopo lo scandalo del dieselgate e di vendite con lo spettro di scendere quest’anno a non più di dieci milioni di pezzi venduti , contro i 17 milioni pre-crisi. Però non vanno trascurati i meriti del modello Svezia, il paese che per primo ha avviato una politica di reindustrializzazione basato sul verde. “Le prospettive di ripresa dell’industria non sono mai state così buone”, sostiene il ministro dell’Industria Karl-Petter Thorwaldsson, già leader sindacale di lungo corso. E’ sotto la sua guida che pubblico e privato stanno lavorando ai progetti di un’industria a zero emissioni alimentata dall’idrogeno e dal gas naturale, comprese le acciaierie basate sui forni elettrici. Conta l’abbondanza di energia idroelettrica, ma anche della consapevolezza delle imprese e degli incentivi. Con un ultimo, decisivo igrediente: dice Svante Axelsson, direttore dell’agenzia che deve accompagnare la transizione energetica dell’economia: “E’ decisivo il ruolo del sindacato, che è molto sensibile allo sviluppo tecnologico senza paura del cambiamento, purchè migliori la competitività dell’industria”.