Salario minimo, la formula di Tridico non torna

Luciano Capone

Il presidente dell'Inps indica un metodo singolare per individuare il livello del salario minimo che, guarda caso, come risultato dà proprio i 9 euro l'ora indicati dal M5s. Ma qualcosa in quei dati non convince.  Su una questione così delicata servono serietà e trasaprenza

La questione più delicata del salario minimo, ciò che può decretarne il successo o il fallimento, è il livello. O meglio, i criteri per fissarne il livello. Fino a poco tempo fa avevamo solo un numero: 9 euro l’ora. Perché così aveva deciso la politica, ovvero il M5s. Una soglia molto elevata, pari all’80% del salario mediano, che farebbe del salario minimo italiano il più alto al mondo rispetto al livello delle retribuzioni.

 

Ma ora abbiamo anche una formula, presentata dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico, che come risultato dà proprio 9 euro. La direttiva europea indica come criteri per individuare il livello giusto il 50% del salario medio o il 60% del salario mediano: “In Italia –  dice Tridico a Repubblica – queste due cifre, secondo i dati dell’Inps riferiti al settore privato, corrispondono rispettivamente a 10,60 euro e 7,65 euro. Il punto medio tra questi due valori è dunque 9,12 euro l’ora”. Lo stesso  ragionamento viene ribadito al manifesto dall’ex ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, prima firmataria del ddl voluto dal M5s.  

 

Ci sono però due cose che non tornano nei calcoli di Tridico. Il primo è la formula, cioè la media tra  salario medio e mediano, che non si sa da dove salti fuori. Non è di certo ciò che indica l’Ue. Ma non sarebbe un problema se i due valori fossero, come si supporrebbe, simili. E qui si arriva al secondo problema, ovvero i dati. Perché la differenza tra i due numeri molto ampia e non si capisce bene a cosa facciano riferimento.


Il valore del 60% del salario medio pari a 7,65 euro indicato da Tridico è realistico, anche se un po’ gonfiato. Secondo i dati dell’Inps il salario orario mediano dei lavoratori full time è pari a 12,1 euro, ma se si considerano più correttamente tutti i lavoratori il dato scende a 11,2 euro: quindi il 60% è tra 6,7 e 7,3 euro. Siamo vicini al dato di Tridico, ma molto lontani dai 9 euro finali (pari, come dicevamo, al 75-80% del salario mediano). Ciò che fa salire a 9 euro l’ora la soglia individuata per il salario minimo sarebbe il valore del 50% del salario medio orario, che secondo i dati riportati dal presidente dell’Inps è di 10,6 euro l’ora: significa che il salario medio orario di un lavoratore italiano è di  21,20 euro. Una cifra abnorme. Vorrebbe dire che in Italia  lo stipendio medio di un dipendente  privato è di oltre 3.600 euro al mese, come in Germania. 

 

Il dato è spropositato rispetto alla realtà economica del paese, ma è anche incoerente rispetto ai numeri forniti da Tridico. Appare altamente improbabile che la paga media oraria (21,20 euro) possa essere quasi il doppio della paga mediana  (11,20 euro). Questa differenza, peraltro, non si riflette sul dato annuo: secondo i dati Inps la retribuzione media annua è di 24 mila euro e quella mediana di quasi 22 mila. Non una il doppio dell’altra, quindi. Il dato non è neppure coerente con le statistiche Istat, secondo cui la retribuzione oraria media in Italia è di 15,8 euro (e si tratta di una sovrastima, dato che l’Istat considera  solo le imprese con oltre 10 dipendenti, dove le paghe sono migliori). Anche considerando esclusivamente i dipendenti di fascia alta, con impiego full time e full year, ed escludendo i lavoratori agricoli e domestici, l’Inps dice che la retribuzione media si attesta a 117 euro al giorno, ovvero 14,6 euro l’ora. Il 50% indicato dall’Ue per definire il salario minimo farebbe 7,3 euro. Da dove saltano fuori quindi i 10,6 euro indicati da Tridico? A quale platea di lavoratori fanno riferimento?


Per definire questioni  delicate come il salario minimo servono serietà e trasparenza. Il metodo opposto è partire dal risultato indicato dalla politica per costruire a ritroso la formula che lo giustifica.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali