Russia, Europa, Stati Uniti

Nabiullina, Lagarde e Brainard. Tre banche, tre donne e una guerra

Stefano Cingolani

Bce, Fed e Banca di Russia alle prese con un rompicapo: frenare l’inflazione senza provocare una recessione. Tutte le tensioni nella grande catena globale

Tre donne, al vertice di tre banche centrali, hanno in mano le conseguenze economiche della guerra scatenata da Vladimir Putin. Protagonista rinomata è senza dubbio Elvira Sachipzadovna Nabiullina, l’abilissima governatrice della Banca di Russia: quanto il mostro liberato dall’invasione dell’Ucraina colpirà la Federazione russa, l’Europa e il resto del mondo dipende anche da come lei regolerà i rubinetti della moneta. Un ruolo da prima donna spetta naturalmente a Christine Lagarde, non solo perché ne ha il physique du rôle, ma perché l’Unione europea è la vittima sacrificale di Zar Vlad nella sua campagna contro l’America. La partita più delicata si gioca a Washington, nella Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti: a novembre il partito repubblicano potrebbe conquistare il controllo dell’intero Congresso e la Casa Bianca diventerebbe un fortino assediato. Alla guida della Fed c’è un avvocato diventato banchiere d’affari, Jerome “Jay” Powell, scelto da Donald Trump e confermato da Joe Biden, ma chi parla all’orecchio del presidente è Lael Brainard, numero due, insediata ufficialmente con voto del Congresso il 23 marzo scorso. Biden la voleva come segretario al Tesoro, però non avrebbe avuto il via libera del Senato perché considerata troppo schierata (aveva ricoperto il ruolo di vice con Barack Obama dal 2010 al 2013). Così le è stata preferita Janet Yellen, già presidente della Fed, che possiamo considerare la quarta donna nel nostro gioco di guerra e monete. 
 

Il dilemma che tormenta tutte le banche centrali, pur tra le grandi differenze tra loro, è molto simile: come frenare o quanto meno tenere sotto controllo l’inflazione senza provocare una recessione. A Francoforte, a Washington e a Mosca è un rompicapo di politica monetaria, di politica fiscale, di politica industriale per evitare che la globalizzazione finisca in frantumi, infine è un dilemma politico tout court se consideriamo quanto il fantasma dell’inflazione turbi il sonno degli elettori. I prezzi al consumo salgono di oltre otto punti percentuali negli Stati Uniti, poco meno nell’area euro, mentre in Russia sono al 17,8 per cento dopo aver superato i venti punti. Lì la recessione è già arrivata: prima della “operazione speciale” in Ucraina le cifre ufficiali mostravano una crescita del prodotto lordo pari al 3,5 per cento in linea con gli Usa e meno dell’Eurolandia che viaggiava a tutto sprint, oltre il 5 per cento. Adesso l’economia della Federazione russa è in picchiata con una caduta che dovrebbe essere pari a dieci punti quest’anno. Dopo aver vantato di essere impermeabile alle sanzioni, anche Vladimir Putin ne ammette i morsi. Quando mancano i pezzi di ricambio non solo per i carri armati, ma per gli strumenti della vita quotidiana, quando la forzata autarchia assomiglia a un balzo indietro di trent’anni, un ritorno all’èra sovietica, è difficile cantare vittoria. 
 

La guerra è causa solo in parte della fiammata inflazionistica attizzata molti mesi prima, nel momento in cui, uscita dalla pandemia, la domanda mondiale non ha trovato un’offerta di beni adeguata a soddisfarla mentre la catena globale spezzata dal Covid soprattutto in Cina ora rischia di dividersi in tre grandi blocchi economici e politici in conflitto tra loro: l’America, l’Europa occidentale e l’Eurasia evocata dagli ideologi putiniani e dai geopolitici nostrani. Il governatore Ignazio Visco ha lanciato l’allarme all’ultima assemblea della Banca d’Italia: “E’ una divisione del mondo che rischierebbe di compromettere i meccanismi che hanno stimolato la crescita e ridotto la povertà”. I banchieri centrali non possono offrire tutte le risposte, però oggi manovrano le leve decisive.
 

E’ stata Janet Yellen, eccellente economista sposata al premio Nobel George Akerlof, ad ammettere di aver sottovalutato, come studiosa, come banchiere centrale e come ministro, la nuova impennata dell’inflazione che oggi è “il nemico pubblico numero uno”. “Attualmente ci troviamo di fronte a sfide macroeconomiche – ha detto intervenendo martedì scorso alla commissione finanze del Tesoro – tra le quali i livelli inaccettabili dei prezzi e i problemi causati dall’effetto della pandemia sulle catene di approvvigionamento, oltre alle difficoltà sui mercati petroliferi e alimentari dovuti alla guerra della Russia in Ucraina”. E’ necessario, quindi, un orientamento di bilancio appropriato per contribuire ad allentare le pressioni inflazionistiche senza compromettere l’economia. Le proposte presidenziali per tamponare gli effetti sui cittadini, dalle spese per i farmaci allo sviluppo delle “energie pulite” vanno in questo senso, ma inutile negare che sono pannicelli caldi. Non solo. I repubblicani di qui al voto di midterm non hanno nessuna intenzione di concedere alcun vantaggio ai democratici, tanto meno al presidente; dunque, c’è da attendersi un vero e proprio ostruzionismo al Congresso. Oggi la congiuntura volge al brutto, la crescita rallenta, eppure la possente macchina economica a stelle e strisce continua a produrre più posti di lavoro di quanti gli economisti si attendevano, il tasso di disoccupazione in aprile era del 3,6 per cento appena, statisticamente si può parlare di pieno impiego. Ma se ci fosse un’inversione di tendenza l’impatto politico sarebbe disastroso. 
 

Così entra in campo la banca centrale dove Lael Brainard sta suonando da tempo il campanello d’allarme, tanto che molti commentatori l’hanno collocata tra i falchi, quelli che vogliono il pugno di ferro, mentre Powell finora s’è mosso con guanti di velluto. I tassi d’interesse sono aumentati dello 0,5 per cento un mese fa, portando il costo ufficiale del denaro tra lo 0,75 e l’1 per cento, inoltre la Fed ha annunciato la fine del Quantitative easing, avviando la stretta, il Quantitative tightening, che induce una progressiva riduzione della liquidità a disposizione del mercato. Secondo i sostenitori della linea dura, non basterà. I tassi sui buoni del tesoro decennali, che indicano gli equilibri monetari di mercato, sono al 2,9 per cento. La Fed ha già annunciato due ulteriori aumenti, sempre di mezzo punto, a luglio. Ciò dovrebbe sgonfiare le borse senza provocare crolli e raffreddare la febbre dei prezzi, ma c’è il rischio che si sommi alle difficoltà di approvvigionamento e alla riduzione della domanda internazionali, come sottolineano sia il Fondo monetario sia l’Ocse; a quel punto, anche gli Stati Uniti, rimasti finora indenni, potrebbero finire nel Maelstrom provocato dalla guerra. E qui si manifesta tutta l’arte del banchiere centrale. Giovedì 2 giugno Lael Brainard ha spiegato quanto sia difficile decidere: “Abbiamo bisogno di più dati sull’andamento dei prezzi, c’è molto lavoro da fare per riportare l’inflazione verso l’obiettivo del 2 per cento, è prematuro concludere che siamo arrivati al picco. Se nei prossimi mesi ci sarà una frenata allora potremo rallentare anche noi, con aumenti dei tassi di un quarto di punto alla volta, altrimenti già a settembre procederemo a un nuovo rialzo di mezzo punto”. La stretta monetaria si comincia a vedere, il pericolo è che diventi eccessiva.
 

Figlia di Alfred Brainard, un noto diplomatico, Lael è nata il primo gennaio 1962 ed è cresciuta nella Germania ovest e in Polonia prima della caduta del muro di Berlino. Master e dottorato ad Harvard, s’è fatta le ossa alla McKinsey prima di diventare assistente e poi professore associato al Mit di Boston esattamente alla Sloan School of Management dove s’è occupata di commercio internazionale, produzione offshore, occupazione, insomma “economia reale”. E’ stato Bill Clinton a proiettarla nel grande gioco: nel 1997 la scelse come vice consigliere economico alla Casa Bianca. La globalizzazione, il boom asiatico, la Cina erano i suoi cavalli di battaglia e come sherpa ha aiutato la nascita del G8 del 2000, che per la prima volta aprì le porte ai paesi in via di sviluppo e vide Vladimir Putin presentarsi in veste di presidente della Federazione russa. Da Clinton a Obama: nel 2009 Brainard diventa sottosegretario al Tesoro responsabile degli affari internazionali, insomma il braccio destro di Timothy Geithner, artefice del salvataggio dalla grande crisi finanziaria. E’ stata lei a picchiare duro sull’Unione europea, su Angela Merkel e su Nicolas Sarkozy per spingerli a misure più coraggiose contro la crisi, è stata lei a insistere affinché Obama alzasse il telefono per chiedere che la Grecia e l’Italia fossero salvate. Con i suoi lunghi capelli biondi, la vasta esperienza e la competenza economica, non poteva passare inosservata né restare inascoltata. Nel 2013 lascia il Tesoro e un anno dopo un Obama in scadenza la nomina nel consiglio della Banca centrale sotto le ali di Janet Yellen e Stanley Fischer, numero due, ma vero luminare della teoria economica (è stato tra l’altro professore al Mit di Mario Draghi). Lael Bainard comincia così il nuovo mestiere che, come disse nel 1932 l’economista inglese, Ralph Hawtrey, ha bisogno di arte, non solo di tecnica. Intuizione, improvvisazione, invenzione sono doti fondamentali se innestate su un solido tessuto scientifico e una riconosciuta credibilità personale. Se no come si fa a mettere in riga i mercati in pieno turbine gassoso, con un “whatever it takes”?
 

L’eredità di Mario Draghi pesa ancora sulla Banca centrale europea e condiziona Christine Lagarde fino a spingerla a una clamorosa gaffe, alla quale non è estranea la voglia di uscire dall’ombra di Supermario. Nel marzo 2020 mentre il Covid-19 stava diventando pandemia provocando tensioni sui mercati e in particolare sui titoli di stato, la presidente della Bce si lasciò andare a una battuta  estremamente infelice: “Non siamo qui per ridurre lo spread, ci sono altri strumenti e altri attori per farlo”. Apriti cielo, le borse sono immediatamente cadute e Madame Lagarde ha dovuto fare ammenda. Di fronte al crollo provocato dal virus come si poteva tornare alla “normalità monetaria”? Adesso, nonostante gli orrori della guerra e il loro impatto economico, la questione si ripropone. Il ministro delle Finanze tedesco, il liberale Christian Lindner, in un’intervista al magazine Focus, ha chiesto che la Bce segua la Fed e agisca “senza esitazione”. Val la pena seguire le sue argomentazioni perché rappresentano la linea economica del governo di Berlino e tutti, a cominciare dalla Bce, ne debbono tener conto. La voglia di normalità è comprensibile, ma cosa c’è di normale nell’impatto della guerra? Parlando di inflazione, Lindner ha spiegato che occorre fare di tutto per impedire che si associ a una recessione economica, ossia che si trasformi in stagflazione. “Dobbiamo togliere la pressione sui prezzi” e “liberare lo stato dall’economia del debito”, ha spiegato il ministro. All’inizio l’inflazione non era determinata dalla politica monetaria, ma “il valore dell’euro sta diminuendo rispetto al dollaro e gli Stati Uniti hanno cominciato ad alzare i tassi”, ha detto Lindner. Bisogna “porre fine all’èra delle politiche fiscali espansive e dei salvataggi fondati sul debito. Lo stato non può sussidiare in continuazione la prosperità facendo credito”. L’inflazione nell’eurozona era alta già prima dell’invasione russa dell’Ucraina e non si può pensare di lottare contro i prezzi in aumento solo attraverso sussidi. “Rispetto l’indipendenza della Bce” tuttavia occorre che stati e banche centrali “agiscano senza esitazione”.
 

A spaventare la Bce non è soltanto la corsa dei prezzi, ma ancor più il rischio di uno spezzettamento del mercato monetario, che così mini l’euro. Il rialzo degli spread misura la febbre dei mercati. La differenza con i Bund, i titoli di stato tedeschi a dieci anni, aumenta in particolare in Italia (siamo già oltre il 2 per cento), più indebitata in rapporto al pil e ormai anche in termini assoluti (2.700 miliardi di euro, seguita da Germania e Francia). Senza uno scudo finanziario, il mercato finirà per punire i Btp italiani innescando una nuova tempesta come nel 2011-2012. Smettere di comprare titoli pubblici e liberarsi sia pur con gradualità di quelli che la Bce detiene in portafogli, insomma, può aprire la porta a una svendita generalizzata. La Bce potrebbe agire diversamente: pur cessando di acquistare nuovi buoni del Tesoro, è in grado di trarre vantaggio ristrutturando quelli in scadenza in cambio di titoli più vantaggiosi e a più lunga maturazione; secondo le stime si tratta di ben 200 miliardi di euro, un bel salvagente contro eventuali tempeste sui mercati. Qui ci vuole davvero arte, ne è dotata Madame Lagarde? Ha fascino, intelligenza, non è un’economista, anche lei come Powell viene dall’avvocatura, nei suoi anni da ministro delle Finanze con Nicolas Sarkozy all’Eliseo ha tentennato davanti alla crisi dei debiti sovrani. Al Fondo monetario dove è stata paracadutata dopo l’affaire Strauss-Kahn non ha fatto male, ma ha mancato di appoggiare la svolta sostenuta dai suoi stessi economisti, come Olivier Blanchard, a favore di una revisione in alto degli obiettivi d’inflazione. Il 2 per cento è un limite che non risponde alla realtà, tanto meno con la pandemia e la guerra. Forse la distinzione di Draghi tra debito buono e cattivo è tagliata con l’accetta, tuttavia di fronte a una macchina mondiale in panne bisognerebbe separare l’inflazione cattiva da quella buona. 
Giovedì scorso la Bce ha annunciato che aumenterà i tassi dello 0,25 per cento a luglio, è la prima volta in undici anni e sarà la prima tranche di un percorso inevitabile, nello stesso tempo cesserà anche l’acquisto di titoli pubblici; e senza scudo, almeno per ora. Lo spread italiano è cresciuto dopo l’annuncio, le borse sono scese. Christine Lagarde ha mancato il suo “whatever it takes”. Per l’euro, non solo per l’Italia, non è una bella notizia. Alla fine le banche centrali, compresa la Bce, “sceglieranno di convivere con un’inflazione più elevata, piuttosto che distruggere la crescita e l’occupazione”, scommette Jean Boiven del BlackRock Investment Institute. Ma che succede se la guerra continua e si estende? 


Elvira Nabiullina aveva ben consigliato Putin: l’invasione dell’Ucraina sarebbe stata un disastro, era meglio consolidare l’economia interna già provata dalla pandemia. Ma Zar Vlad non si fa certo convincere nemmeno dai pochi che stima e dei quali si fida, a cominciare dalla governatrice della Banca centrale: per due volte ha respinto le sue dimissioni e ha continuato a fare di testa propria. Nata il 29 ottobre 1963 da una famiglia tatara a Ufa in Baschiria, una piccola repubblica del sud-est dove nel Tredicesimo secolo s’insediarono i mongoli dell’Orda d’oro, ha preso presto l’ascensore sociale. Il padre Sakhipzada era un autista, la madre Zuleida dirigente di una fabbrica. Ottimi voti a scuola, università di Mosca durante i primi anni della perestrojka, lavora nell’Associazione degli industriali, poi al vertice della Sberbank con Herman Gref che dal 2000 al 2007 sarà ministro dell’economia (nel 2021 l’Italia lo ha nominato commendatore). E’ lui, il potente banchiere di stato, a portarla con sé al governo; e a lei passerà il testimone, forte del successo nel preparare e gestire il G8 in terra russa nel 2006. Sono gli anni in cui Medvedev faceva il filo occidentale e Putin preparava la svolta autoritaria. Tornato al Cremlino con tutte le leve del potere nelle sue mani, il presidente la vuole tra i consiglieri e una volta eletto per il terzo mandato nel 2012 la sceglie come assistente personale per portarla un anno dopo alla guida della banca centrale. Poi il conflitto nel Donbas e l’annessione della Crimea, intanto Elvira Nabiullina rastrella dollari, euro, sterline, oro. Gli economisti la chiamerebbero strategia mercantilista: vendere materie prime e accumulare denaro e ricchezze nei forzieri del principe; lo faceva anche Jean-Baptiste Colbert. Il potente ministro del re Sole utilizzava il tesoro non solo per finanziare le guerre, ma per creare imprese manifatturiere, la banca centrale russa lo ha chiuso nel caveau per spenderlo a tempo e a luogo. Il tempo è venuto il 24 febbraio e il luogo è l’Ucraina. 
 

Quei 630 miliardi in valute pregiate, più 130 miliardi di dollari in oro messi da parte prima dell’invasione, sono fondamentali per pagare gli interessi sul debito estero ed evitare il default. Nabiullina ricorda bene quando tra il 1998 e il 1999 la Russia fallì, lo ricorda benissimo Putin perché fu il suo trampolino di lancio prima al governo poi al posto di Boris Eltsin, messo a terra dal tracollo finanziario ancor più che dalla vodka. Inutile fu il tentativo di salvataggio da parte del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale anche perché gli aiuti sparirono come per incanto. Secondo i dati ufficiali 4,8 miliardi di dollari si sono volatilizzati, rubati si disse poi; Robert Rubin, segretario americano al Tesoro, usò un eufemismo: “Spesi in modo inappropriato”. Indagini successive hanno “seguito i soldi” tra Lugano, Francoforte, Sidney, New York, ma la loro sorte resta ancora un mistero degno di un thriller politico-finanziario gettato nel dimenticatoio. Fmi e World Bank li hanno versati al governo russo, non li hanno gettati dall’elicottero. I putiniani che blaterano sulla pervicace volontà dell’occidente di distruggere la Russia stanno bene attenti a non parlarne. Quel default innescò un terremoto finanziario che, sommato allo scoppio della bolla internet, ha provocato la prima recessione del nuovo secolo. Oggi l’impatto sarebbe ancora maggiore: è vero che le sanzioni finanziarie hanno isolato la Russia, ma con buona pace dei no global vecchi e nuovi, il mercato resta integrato e segue sempre la regola della farfalla. Riuscirà Nabiullina a versare tutte le rate? Molto dipende anche dagli Stati Uniti. “Se le autorità statunitensi proibiscono i pagamenti provenienti dalla Federazione russa, riducendo le eccezioni e le possibilità di triangolare (per esempio via Zurigo con valute diverse dal dollaro) è solo questione di tempo prima che una cedola non sia onorata”, spiega Andrea Resti, docente di finanza alla Bocconi. Biden sta cercando di accoppiare fermezza e realismo, fino a quando? 
 

L’altra corsa contro il tempo riguarda l’inflazione. All’annuncio delle sanzioni, il rublo è crollato e i prezzi sono saliti del 20 per cento. La banca centrale ha alzato in parallelo i tassi d’interesse per bloccare l’emorragia. I prezzi sono scesi anche se di poco e il rublo è risalito. Magra consolazione per una moneta autarchica e inconvertibile, sottoposta a controllo stretto del governo il quale ha ordinato il rientro dei capitali detenuti all’estero. La risposta di Elvira Nabiullina allo choc provocato dalla riconquista della Crimea, la sua velocità di reazione utilizzando le leve classiche delle banche centrali, le aveva fruttato importanti riconoscimenti: banchiere centrale dell’anno nel 2015 per Euromoney e nel 2017 per The Banker, le due più prestigiose riviste. Ma allora c’era una differenza di fondo: Nabiullina, mentre imponeva un tetto all’inflazione interna, liberava completamente la fluttuazione del rublo aumentando la fiducia degli investitori esteri; sì, proprio così, i capitali dei “bastardi” occidentali tornarono a irrorare la “santa madre russa”. Stabilizzata la situazione, la banchiera di Putin ha fatto la grande abbuffata di dollari e oro. Oggi i mercati si sono chiusi e quel forziere si sta riducendo rapidamente. I mercati finanziari accettano scommesse su quando si svuoterà, una domanda destinata a influire in modo determinante sulle sorti della guerra. A quel punto, anche l’inflazione interna, già spinta dalla carenza di beni e materiali fondamentali per la produzione, diventerà ingestibile e aprirà la porta alla recessione. Chissà con quale spilla si presenterà allora in pubblico Elvira Nabiullina. E’ uno dei suoi vezzi al quale dà il significato di un segnale per i mercati e per l’opinione pubblica, come ella stessa ha confessato: nel marzo 2021 quando alzò per la prima volta i tassi d’interesse s’appuntò sulla giacca un falco, il 28 febbraio scorso quando ha annunciato la stretta in risposta alle sanzioni è apparsa senza spille. Niente più messaggi? O forse il messaggio c’è: la Banca centrale sta consumando le sue migliori munizioni. Difficile che Putin si fermi, ma ancora una volta la fida Nabiullina lo ha avvertito.