Solo una rivoluzione delle competenze ci farà uscire dalla crisi
Il 15 per cento dei lavoratori dovrà cambiare lavoro nei prossimi anni e solo il 36 per cento della forza lavoro ha competenze digitali sufficienti. Ecco perché ci vorrebbe un investimento massiccio
Benvenuti nel never normal, ovvero laddove nulla è più normale e prevedibile. O meglio, dove lo straordinario diventa ordinario. Abbiamo attraversato in poco più di venti anni quattro crisi e siamo dentro a una di cui non si intravedono vie di uscita. Parliamo di quattro shock: nel 2001 l’attacco alle Torri Gemelle, nel 2008 la crisi finanziaria legata ai sub-prime, nel 2020 la pandemia con un virus ancora in circolazione, nel 2022 una drammatica e violenta guerra nel cuore dell’Europa di cui, appunto, non si scorgono ancora soluzioni. Questo ci porta a vivere molto nel presente e ogni piano, anche di breve periodo, deve essere rivisto continuamente. Ne sanno qualcosa i piccoli imprenditori e le imprenditrici che si sono dovuti sobbarcare rischi e problemi generati dalla sequenza di shock, ma sono stati capaci, grazie anche alle reti associative, di riorganizzarsi e di riorientare le proprie attività e le strategie aziendali. Tuttavia, se vogliamo stare dentro il “nuovo mondo”, dobbiamo fare come sistema paese scelte impegnative.
Accusiamo un ritardo preoccupante sugli asset principali della modernità e dello sviluppo, a partire dalla trasformazione digitale. I dati in nostro possesso ci dicono che il 15 per cento dei lavoratori dovrà cambiare lavoro nei prossimi anni, solo il 36 per cento della forza lavoro ha competenze digitali e quattro aziende su dieci non trovano competenze in questi settori. Anche il tema del green e della sostenibilità ambientale diventa strategico come area di business: il mercato non accetterà più produzioni che non siano sostenibili. Un esempio su tutti, la nuova direttiva europea che vieterà dal 2035 le auto non elettriche.
In tutto questo abbiamo un’arma che può e deve aiutarci per stare dentro alle trasformazioni e provare a governarle. Anzi, se siamo capaci, a sfruttarle, per dirla con lo scrittore libanese Taleb, provando a fare delle crisi un’opportunità. L’arma in nostro possesso si chiama “formazione continua” e cioè continuare a studiare formandosi per tutto l’arco della nostra vita. Anche su questo tema cruciale per le prospettive del paese, i dati sono impietosi: solo il 24 per cento degli adulti partecipa ad attività formative, contro il 52 per cento della media europea. Bisogna dunque fare e farlo in fretta, agendo sulle competenze, riaggiornando e alzando i profili dei lavoratori (re-skillls e up-skills) per colmare il gap. Significa, oltre a offrire una formazione tecnica e tecnologica, investire anche in quella relazionale ed emozionale, ovvero sulle soft skills, cioè in quella formazione fatta di empatia, problem solving, gioco di squadra, delega, ecc., in grado di allenare e rendere le persone capaci di stare dentro alle trasformazioni e anzi di orientarle a vantaggio delle proprie attività. Significa agire sulle Metacompetenze, nell’imparare a imparare.
In poche parole, bisogna mettere in moto un Piano nazionale di formazione continua sia sugli attuali occupati sia su quelli in cerca di occupazione. Una rivoluzione delle competenze, che dobbiamo realizzare in fretta se vogliamo stare dentro al percorso della crescita e attraversare gli shock attuali e quelli che arriveranno. Lo strumento c’è, si chiama Pnrr. Ci sono le risorse per poterlo fare, alle quali sommare altre di origine comunitaria nelle disponibilità delle regioni. Sul come fare, come Cna ci permettiamo di suggerire al governo di riprendere un concetto caduto in disgrazia dopo anni di centralità e interesse: si chiama sussidiarietà. Significa che per fare quella rivoluzione sulle competenze colmando i ritardi, un intervento che interessa almeno 20 milioni tra lavoratori, imprenditori e futuri lavoratori, è necessario coinvolgere al più presto soggetti privati qualificati e accreditati.
E’ necessario allargare la platea dell’offerta e dell’erogazione formativa, in termini appunto sussidiari, agli enti formativi privati, a partire da quelli di emanazione associativa, che sono quasi tutti accreditati dalle regioni per poter svolgere attività formativa finanziata, come ad esempio quella legata ai fondi interprofessionali o ad altri fondi resi disponibili dalle regioni. Enti dunque che hanno procedure e regole precise, controllate e controllabili, poiché, appunto, accreditati dalle regioni per poter agire sulla formazione. Una funzione che già svolgono e i risultati sono lì a dimostrarlo: il sistema Cna, ad esempio, nel 2021 ha erogato quasi 3 milioni di ore di formazione su 35 mila discenti. Altri enti hanno numeri similari. Se vogliamo davvero la rivoluzione delle competenze non abbiamo molto tempo ma abbiamo risorse e strutture pronte e disponibili. Muoviamoci.
Giuseppe Vivace
responsabile Formazione e Sviluppo delle competenze Cna