L'inflazione
Sale lo spread. Per Giavazzi la Bce sbaglia ad aumentare i tassi
La distanza tra Palazzo Chigi e l’Eurotower si fa più marcata ora che il consigliere economico del premier ha criticato la scelta di Lagarde: "Risponde all’aumento dell’inflazione con uno strumento sbagliato"
Giovedì scorso, a poche ore dall’inizio della riunione della Bce che avrebbe deliberato la stretta sui tassi, il premier Mario Draghi ha cercato di lanciare un segnale in extremis alla presidente della Bce, Christine Lagarde, dicendo che mettere un tetto al prezzo del gas limiterebbe l’inflazione. Lagarde, invece, ha assecondato la linea dei “falchi” provocando una bufera sui mercati che non accenna a placarsi (oggi il Ftse Mib ha subito il terzo forte ribasso consecutivo, meno 2,9 per cento, e lo spread si è avvicinato a quota 240 punti base con i rendimenti dei Btp decennali ormai al 4 per cento). E adesso la distanza tra Palazzo Chigi e l’Eurotower si fa ancora più marcata dopo le parole pronunciate dal consigliere economico di Draghi, l’economista Francesco Giavazzi.
“La Bce promette di alzare i tassi per rispondere all’aumento dell’inflazione con uno strumento sbagliato – ha detto Giavazzi – Noi non abbiamo un’inflazione da domanda come negli Usa, ma un’inflazione legata al prezzo del gas. Quindi, a fronte della riduzione della domanda privata che avverrà nei prossimi mesi, dobbiamo accelerare il Pnrr”. Altra cosa rilevante fatta osservare dal professore della Bocconi è che nella dinamica degli spread sovrani a cui si sta assistendo in Europa “non c’è nulla di speciale che riguarda l’Italia” poiché a far impennare i rendimenti dei Btp è l’elevato rapporto tra debito e pil che ha raggiunto il 150 per cento e non un fantomatico attacco al paese. Quest’ultima considerazione trova conforto nelle analisi tecniche di alcune case di investimento. Secondo Axa Im, per esempio, un po’ tutti gli spread governativi dell’Eurozona si stavano ampliando già prima da inizio anno. L’impennata post Bce è stata poi violenta, ma di nuovo su tutti i bond dei paesi membri, a partire da quelli più virtuosi come l’Austria (+8 punti base) fino a quelli caratterizzati da un merito di credito relativamente basso come l’Italia (+32 pb) e la Grecia (+28 pb).
“E’ del tutto normale osservare tensioni sugli spread sovrani in un mercato caratterizzato da tassi d’interesse in salita e aspettative di una fine imminente del Qe – dice al Foglio Alessandro Tentori, chief investment officer di Axa Im – Ricordo che il rendimento dei decennali tedeschi è aumentato di ben 175 pb da inizio anno. Al momento l’andamento dello spread Italia non si discosta dai fondamentali macro del paese e dal rischio di credito valutato dalle agenzie di rating”. Quindi, tanto rumore per nulla? “Ha ragione chi dice che l’Italia deve fare un bagno di realtà, ma quello che sta succedendo non è l’indicazione di un rischio di credito del paese”. Altro discorso è lo scudo anti spread. “Probabilmente – prosegue Tentori – le aspettative per uno strumento di contenimento del rischio di frammentazione erano alte e sono state comunque disattese. Ne deduco che probabilmente la Bce non ha avvertito un rischio specifico perché tutti i differenziali, chi più chi meno, si sono allargati”.