Con i tagli del gas a Italia e Germania è iniziata la guerra russo-europea dell'energia
Per Putin i flussi energetici sono lo strumento più sensato per rispondere alle sanzioni occidentali causando turbolenze sui mercati e danni economici all’Unione europea, scrive un centro di ricerca di Mosca
Le forniture di gas naturale russo non rappresentano più la garanzia di una volta. In Russia, a seguito della rottura di una tubazione, è scoppiato un grande incendio nel giacimento di Urengoyskoy, nella regione siberiana Yamal-Nenets. Si tratta del secondo giacimento di gas più grande del mondo dopo l’immenso South Pars/North Dome situato nei fondali del golfo persico tra Qatar e Iran. I social si sono sbizzarriti, tra chi “festeggia” per l’incidente inserendolo nella scia dei tanti incendi scoppiati in Russia negli ultimi tre mesi e tra chi dice che le sanzioni stanno iniziando a influire sull’efficienza dell’industria energetica russa.
Di sicuro c’è che Mosca in questi giorni ha alzato il livello della minaccia contro l’Europa tagliando le esportazioni di gas: Gazprom oggi ha ridotto del 60 per cento le forniture attraverso il gasdotto russo-tedesco Nord Stream, una riduzione ulteriore rispetto a quella di mercoledì. Nel comunicato l’azienda statale russa ha lamentato problemi causati dalla Siemens, che non non ha restituito i componenti inviati all’estero per la manutenzione. La parola “sanzioni” non viene usata, ma il ragionamento di Gazprom collega indirettamente il problema all’annuncio di Siemens di chiusura delle attività in Russia. Anche Eni ha ricevuto due comunicazioni di taglio delle forniture, che hanno ridotto i volumi a due terzi rispetto a quelli richiesti.
Per molti è la conferma che anche i paesi che soddisfano la richiesta di pagare il gas in rubli, invece che in euro come previsto dai contratti, devono prepararsi ad affrontare rappresaglie da parte di Mosca. Dall’inizio dell’invasione infatti tutte le discussioni sulle sanzioni a gas e petrolio russi hanno dato per scontato la passività della Russia, con il presupposto che Vladimir Putin avrebbe mantenuto attivi i flussi per incassare fino all’ultimo centesimo possibile prima della fine dei legami energetici.
Secondo Alexander Gabuev, analista del Carnegie Endowment for International Peace di Mosca, questa azione significa che la guerra russo-europea dell’energia è iniziata. Gaubev spiega che la Russia si considera in guerra con gli Stati Uniti e i suoi alleati, e per Putin i flussi energetici sono lo strumento più sensato per rispondere alle sanzioni occidentali causando turbolenze sui mercati e danni economici all’Unione europea.
Le nuove proiezioni della Commissione europea stimano che un’interruzione delle forniture di gas russo fermerebbe la ripresa nell’Eurozona. Nello scenario più grave, nel 2022 l'economia crescerebbe di appena lo 0,2 per cento mentre l’inflazione supererebbe il 9 per cento. In altre parole, un anno di stagflazione – la concomitanza di stagnazione e inflazione – per tornare a crescere dell’1,3 per cento nel 2023. Nelle previsioni attuali, già riviste al ribasso, la crescita del Pil della zona euro è stimata al 2,7 per cento per quest’anno e del 2,3 per l’anno successivo.
Sia chiaro, la Russia non può spingersi fino al blocco totale delle esportazioni verso l’Ue. “Il gas diretto in Europa adesso non può essere esportato altrove, la Russia non ha impianti che collegano i grandi giacimenti della regione Yamalo-Nenets alla Cina” scrive Gaubev. Azioni come quelle di questi giorni però producono uno shock sui prezzi che danneggia le economie europee, spaventa le opinioni pubbliche e mette in crisi i governi delle democrazie (soggetti ai cicli elettorali); continuando a riempire le casse della Federazione Russa in vista delle enormi difficoltà da affrontare nel prossimo futuro.
Mosca infatti crede di avere soldi per finanziare la guerra abbastanza a lungo da raggiungere gli obiettivi, confidando che in futuro le esportazioni di gas e petrolio a Cina e India saranno sufficienti per sostituire l’Europa. Aspettative tutte da dimostrare, ma che rivelano ancora una volta che le decisioni del Cremlino sono guidate dalla logica di chi vuole portare avanti una guerra lunga e feroce che creerà spaccature irreversibili, non da quella di chi cerca di arrivare a un negoziato per ricostruire legami dopo aver commesso un errore.