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Gli effetti dell'Inflazione

La Bce deve rispondere al rialzo dei prezzi energetici

Tommaso Monacelli

La lezione degli anni 70: l'aumento dei costi che non viene dalla domanda, ma dall'offerta. Come risolvere? Partendo dall'indipendenza della politica monetaria

Molti commentatori definiscono la fiammata inflazionistica in corso in Europa come inflazione importata. Intendendo un’inflazione che origina dal lato dei costi di energia e materie prime e non da pressioni della domanda aggregata. Come tale, inflazione che andrebbe ignorata. Qualsiasi intervento restrittivo della Bce, si dice, avrebbe effetti sulla spesa per consumi e investimenti e non sul prezzo del gas o sui costi di trasporto. Perché dunque pagare il costo di un’economia che rallenta? Alzare i tassi sarebbe controproducente.

 

Innanzitutto la terminologia: quella di oggi è più correttamente inflazione che origina dal lato dell’offerta, e non importata. La visione secondo cui la politica monetaria non debba rispondere all’inflazione da offerta era prevalente negli anni 70. Prima degli shock petroliferi di allora, l’inflazione da offerta era semplicemente sconosciuta. La tradizionale idea keynesiana era che l’inflazione fosse un fenomeno causato solo da un surriscaldamento della domanda: eccesso di consumi o investimenti privati, rialzi della spesa pubblica o espansioni della quantità di moneta.

 

Gli anni 70 ci hanno lasciato in eredità due grandi lezioni. Primo, l’inflazione da offerta esiste e origina dal lato dei costi delle imprese. Il punto cruciale è che questi rialzi dei costi fanno lievitare l’inflazione indipendentemente dall’andamento del ciclo economico (in altre parole, non perché ci sia un boom nell’economia, come postulato dalla visione dell’inflazione da domanda). Poiché la politica monetaria non può agire sul prezzo del gas o del petrolio, l’unico modo di rispondere alla pressione inflazionistica è raffreddando la crescita economica. Perciò rialzi dei costi di produzione generano un dilemma, una “coperta corta” per la politica monetaria, che deve trovare l’equilibrio ottimale tra maggiore inflazione e minore crescita.

 

Da questo dilemma non si esce: da 40 anni è il problema più difficile da risolvere per le banche centrali. Secondo, scegliere di non far niente di fronte all’inflazione da offerta può generare conseguenze molto pesanti sull’economia. Inerzia della politica monetaria comporta un avvitarsi al rialzo delle aspettative di inflazione (motore cruciale dell’inflazione corrente) e un’amplificazione dell’inflazione stessa. Questa spirale rende il costo di riportare l’inflazione sotto controllo solo più grande. Nei paesi industrializzati solo rialzi molto pronunciati della disoccupazione negli anni 80 hanno permesso di riportare l’inflazione sotto controllo.

 

L’esperienza inflazionistica degli anni 70 è stata così pregnante da portare a due rivoluzioni. La prima, nella scienza economica. Si è capito che crescita economica e inflazione possono anche muoversi in direzione opposta, contrariamente a quanto descritto dalla teoria keynesiana. La chiave stava proprio nell’inflazione da offerta e nel ruolo cruciale delle aspettative di inflazione, allora oggetto misterioso. La seconda rivoluzione è avvenuta nell’istituzione banca centrale. Scoprire che pressioni dal lato dell’offerta potevano portare le aspettative di inflazione fuori controllo ha posto il tema centrale dell’indipendenza delle banche centrali, che solo come tali possono avere la credibilità necessaria per influenzare le aspettative stesse. In altri termini, è proprio di fronte a inflazione da offerta che l’indipendenza e la credibilità della politica monetaria diventano un bene essenziale.

 

E’ dunque quanto mai necessario rispondere all’inflazione da offerta. Quest’ultima si amplifica essenzialmente attraverso le aspettative. Ne è prova la crescente pressione sui prezzi che si sta trasferendo dal settore manifatturiero a quello dei servizi, ad esempio i ristoranti. Il fatto che una cena al ristorante costi di più incorpora pressioni inflazionistiche di vario tipo: prezzi più alti degli ingredienti, affitti più alti per il ristorante, ma anche salari più alti per il personale di trasporto e per quello di sala. Salari nominali più alti incorporano a loro volta un’assicurazione rispetto al rischio che l’inflazione possa essere più alta in futuro, in una spirale che si alimenta proprio attraverso le aspettative.

 

Poiché le aspettative sono il (potenziale) materiale infiammabile dell’inflazione d’offerta, la politica monetaria deve agire in anticipo. Non sono tanto importanti le sue azioni puntuali (alzare o meno i tassi oggi) bensì gli impegni credibili sulle scelte future: delineare un sentiero, un programma di intervento. Per fare questo, la sua indipendenza è una condizione essenziale. Pensare di mettere in discussione questo aspetto, oggi in Europa, rappresenta il rischio più grande per la frammentazione dell’euro.

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