i ricatti di gazprom
La Russia taglia le forniture di gas e il prezzo s'impenna. La produzione nazionale al palo
Gazprom riduce i volumi verso l'Italia. "La situazione è ancora sotto controllo", dice Cingolani. Ma c'è un problema di sostenibilità economica. E il piano per aumentare l'estrazione domestica doveva essere avviato un mese e mezzo fa
“La situazione è ancora sotto controllo”. Nonostante un taglio del 40 per cento della capacità di gas russo trasportato in Italia, il ministro della Transizione ecologica resta cautamente ottimista sulla tenuta del sistema. “Ho passato le ultime 36 ore a monitorare la riduzione dei flussi di gas: 40 per cento era quanto dichiarato da Gazprom sulle capacità”, ha spiegato ieri Roberto Cingolani durante un question time in Senato: “Per fortuna, il valore è minore perché bisogna calcolare la percentuale sui flussi reali. Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni”.
Difficile fare previsioni, ma come ha suggerito anche il premier Mario Draghi ieri da Kyiv, quella di Vladimir Putin appare più che altro una provocazione. Una delle spiegazioni data dalla compagnia russa Gazprom per giustificare la riduzione delle esportazioni di gas verso la Germania e l’Italia, i due paesi europei maggiormente dipendenti, è che la manutenzione degli impianti richiede pezzi di ricambio impossibili da reperire a causa delle sanzioni. “Sia la Germania, sia noi, sia altri riteniamo che queste siano bugie – ha dichiarato ieri Draghi – che in realtà ci sia un uso politico del gas come c’è un uso politico del grano”.
L’impatto del taglio, stando così il livello della domanda e i flussi in ingresso, non si vede ancora sul consumo finale. Ma potrebbe rallentare il riempimento degli stoccaggi, che al momento sono pieni a metà (52 per cento), non senza difficoltà.
Ancora prima di ipotetici razionamenti, il vero effetto è sui mercati. Ieri il prezzo del gas è cresciuto di quasi il 70 per cento in tre sedute, toccando i 142 euro per megawattora. Per frenare i prezzi il governo punta ancora a trovare un’intesa in sede europea per fissare un price cap, ma le trattative non sono incoraggianti. Sul fronte nazionale, delle iniziative presentate per alleggerire il conto pagato dall’industria sono poche quelle operative.
Una di queste riguarda l’incremento della produzione nazionale di gas, una misura che avrebbe carattere strutturale più che estemporaneo, visti i tempi di attuazione, ma il cui avvio al momento risulta in enorme ritardo. Secondo il decreto Bollette pubblicato il 1° marzo in Gazzetta ufficiale, entro 30 giorni dall’entrata in vigore il Gestore dei servizi energetici (Gse) avrebbe dovuto avviare su direttiva del ministro della Transizione ecologica, “procedure per l’approvvigionamento di lungo termine di gas naturale di produzione nazionale dai titolari di concessioni di coltivazione di gas”. In altre parole, il Gse avrebbe dovuto invitare i titolari delle concessioni di coltivazione di gas a manifestare interesse ad aderire alle procedure previste dal decreto: cioè estrarre di più per fornire gas a prezzo calmierato per l’industria energivora. A quali condizioni però non è ancora chiaro. Ed è proprio su questo che ancora lavora il Mite.
Agli operatori, come previsto dal decreto, è stato chiesto un elenco di possibili sviluppi delle produzioni, delle tempistiche, del profilo atteso di produzione e dei relativi investimenti. Una sorta di analisi costi-benefici, che sta conducendo da parte sua anche il ministero. Per il momento però, secondo quanto risulta al Foglio, si sono tenuti solo alcuni incontri interlocutori tra le parti coinvolte. Ma senza i decreti ministeriali per stabilire il prezzo di ritiro del gas e i criteri di assegnazione agli energivori, non si può procedere oltre. Proprio ieri il ministro Cingolani ha rilanciato il piano del governo, rispondendo alle domande dei senatori. “Dobbiamo confermare il phase out dal gas ma mi auguro che quello che servirà in futuro sia prodotto il più possibile al livello nazionale”, ha detto, aprendo anche alla modifica di uno dei principali ostacoli sul tavolo: “E’ giunto il momento di rivedere il Pitesai per cercare di combinare la riduzione del gas totale con l’aumento dell’utilizzo di gas dai nostri giacimenti”, così da “mantenere la rotta della decarbonizzazione verso il 2050 rendendo il paese indipendente”. E’ arrivato il momento di accelerare anche su questo fronte.