Le criticità di un salario minimo a 9 euro nel contesto italiano
Le imprese italiane, piccole e ultra-frammentate, rischierebbero di ricevere un colpo micidiale. Con contraccolpi seri per occupazione e produttività delle aziende
Il salario minimo è tornato protagonista. Per Letta, “l’assenza del salario minimo decreta la morte dei lavoratori”, auspicando che diventi “legge prima della fine della legislatura”. Il M5s è da sempre il principale sponsor politico dell’intervento, a cui ha aperto recentemente anche il ministro del Lavoro Andrea Orlando. La battaglia è sostenuta da tre argomenti: aumentare ex lege i salari più bassi; adeguarsi alla recente direttiva europea; combattere i contratti “pirata”, cioè quei contratti collettivi nazionali del lavoro (Ccnl) firmati da sindacati poco rappresentativi, che permettono alle aziende che li adottano di derogare alle garanzie dei Ccnl.
In Italia, la contrattazione collettiva stabilisce la retribuzione minima per quasi tutti i dipendenti nel privato: come una serie di salari minimi per settore. Questo sistema flessibile è particolarmente utile per le nostre aziende piccole, frammentate, spesso poco produttive, e con grandi differenze geografiche, perché si adatta bene alle tante diverse esigenze.Un salario minimo nazionale, oltre a far perdere questa flessibilità, può avere un effetto negativo sull’occupazione. C’è davvero questo rischio?
L’intuizione dietro alla risposta è semplice: l’aumento del costo del lavoro da qualche parte deve ricadere. Il come dipende da quanto “potere contrattuale” hanno le imprese nel fissare i salari. Se sono molto forti e affrontano poca concorrenza (sono monosponistiche), possono pagare i lavoratori meno della loro produttività marginale, cioè meno di quanto – in senso economico – si meriterebbero. In questo caso, introdurre il salario minimo significa erodere questo “vantaggio” delle imprese, senza grosse ricadute occupazionali. Al contrario, le imprese piccole e deboli non hanno grande capacità di influire sulle paghe. In questo caso, costringerle per legge a pagare stipendi più alti – spesso, molto più alti – può indurle a licenziare, ad assumere di meno o a fallire. Gli studi a testimonianza dell’eterogeneità di questo processo sono ormai moltissimi, in diversi paesi del mondo, dagli Stati Uniti al Giappone.
Le imprese italiane, piccole e ultra-frammentate, rischierebbero quindi di ricevere un colpo micidiale da un salario minimo nazionale. Sappiamo poi che anche le imprese più forti aggiustano il margine dell’occupazione quando l’intervento è grande, cioè quando viene introdotto un minimo che è molto distante dal salario mediano. E a farne le spese sono come sempre i lavoratori meno formati e meno pagati (low-skilled). E qui arriva un altro problema: si parla di fissare il minimo a 9€ euro l’ora – un livello enorme, l’80 per cento del salario mediano in Italia, e il 90 per cento di quello delle aziende con meno di dieci dipendenti, la stragrande maggioranza.
Non solo: recenti ricerche di Francesco Devicienti e Bernardo Fanfani dell’Università di Torino mostrano che quando, negli ultimi anni, i minimi tabellari dei Ccnl sono stati rinegoziati al rialzo, le imprese – in particolare quelle meno produttive – hanno risposto riducendo occupazione e produttività. Aumentare i minimi ha quindi sì accresciuto il salario dei lavoratori (sostanzialmente di tutti, non solo di quelli che guadagnano poco), ma lo ha fatto a discapito di due dimensioni cruciali.
Resta poi il nodo dei “contratti pirata”, di cui dicevamo prima. Anche qui, piedi di piombo: le aziende che usano contratti pirata sono già poco produttive e in relativa difficoltà rispetto alle altre, ed è proprio questo che cercano modi di pagare i loro lavoratori di meno. E’ lecito aspettarsi quindi che l’impatto di un salario minimo nazionale sulla loro struttura dei costi sia particolarmente violento, portando molte di queste a chiudere o a ricorrere al lavoro nero. I contratti pirata restano un problema da risolvere, ma non serve forzare la mano con un salario minimo nazionale: si può pensare, ad esempio, di imporre una sorta di “minimo tabellare” fuori dai Ccnl più rappresentativi. E’ evidente però che parlare di 9€ euro l’ora per affrontare queste situazioni è improponibile, perché la ricaduta occupazionale che è lecito aspettarsi sarebbe pesantissima.
E’ un quadro poco roseo: imprese piccole e frammentate, salario minimo teorico altissimo, perdita della flessibilità della contrattazione collettiva. Tutti gli elementi che testimoniano contro l’introduzione di questa misura, in Italia sono presenti. Anche se immaginare un gruppo di imprenditori-predatori che tengono i salari bassi per aumentare il proprio guadagno è suggestivo, è una rappresentazione lontana dalla realtà, perché le nostre imprese sono in larga parte deboli e poco produttive. Far finta di ignorare quale sarebbe l’impatto su di loro – e quindi sui loro dipendenti – di un salario minimo nazionale significa non voler fare gli interessi né dei lavoratori, né delle aziende.