concorrenza mancata
Monopoli mascherati da diritti acquisiti. Appunti per l'antitrust del futuro
In parlamento si invoca il golden power sulle concessioni balneari. La variante nazional-populista che agita la politica per tutelare le posizioni di rendita
L’Italia non è un paese per la concorrenza e questo è noto. Ma chiedere il golden power per gli stabilimenti balneari come è stato fatto in parlamento, supera i limiti del buon senso non solo della buona politica. D’accordo, è la variante nazional-populista di una tendenza più ampia: prima la crisi della globalizzazione, poi la pandemia e ora la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, hanno esasperato ovunque una spinta al protezionismo che ha intaccato i pilastri sui quali si regge “il gioco dello scambio” come lo ha chiamato Fernand Braudel (così non diciamo libero mercato e sfuggiamo alla lapidazione su pubblica piazza).
Alla 15esima conferenza sull’Antitrust organizzata da Enrico Raffaelli presidente della Commissione di diritto della concorrenza dell’Uae (Union des Avocats Européens) e aperta ieri a Treviso da Roberto Rustichelli presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ne hanno parlato in molti, a cominciare da Marc van der Woude presidente del tribunale della Ue. Ma non c’è dubbio che in Italia la concorrenza sia considerata “un impaccio da una classe politica e sociale estremamente refrattaria”, ha denunciato Roberto Chieppa segretario generale alla presidenza del Consiglio.
L’abuso di golden power è spesso giustificato con la nuova guerra fredda, però una cosa è applicare le sanzioni contro la Russia o impedire alla Cina di usare Huawei per estrarre dati sensibili, ben altro è far intervenire i governi per tutelare posizioni di rendita e di monopolio. La pandemia ha reso necessari gli aiuti assistenziali e i sussidi a pioggia hanno riportato in vita lo statalismo. “E’ auspicabile che non torni lo stato giocatore - ha detto Chieppa – Ci vuole piuttosto uno stato promotore che sostenga la transizione digitale ed energetica. E’ questa, del resto, l’impostazione del Pnrr”. Ma il grand commis che negli ultimi quattro anni ha visto crescere l’onda protezionista e neodirigista non si nasconde le difficoltà: la “cultura corporativa” sostenuta da interessi forti decisi a difendere i propri privilegi, non trova a contrastarla uno schieramento capace di sostenere l’equazione virtuosa: più concorrenza, più innovazione, più crescita, meno diseguaglianze sociali.
Lo stesso antitrust, il “cane da guardia” del mercato, viene tirato per la giacchetta dal nuovo senso comune populista: non deve essere un arbitro né un giudice indipendente, ma un vendicatore. E’ una tendenza contro la quale si è espresso il presidente Rustichelli: “Un rilievo di primo piano spetta ai principi del giusto processo garanzia di un procedimento imparziale, trasparente e prevedibile”, ha detto. I poteri dell’autorità sono oggi più ampi, tuttavia “l’obiettivo primario non è mai la sanzione, ma il cambiamento effettivo e rapido dei comportamenti d’impresa”. Si tratta di ricercare in concreto “la soluzione più vantaggiosa per l’equilibrio dei mercati, lo sviluppo delle imprese, il benessere dei cittadini”. La quadratura del cerchio? “I simboli della giustizia sono la bilancia e la spada, e nella mia carriera di magistrato ho sempre cercato di usare la bilancia, assai poco la spada”.
Alla bilancia o meglio alla ricerca dell’equilibrio tra prevenzione e deterrenza, ha fatto riferimento anche Alberto Pera socio dello studio Gianni & Origoni che è stato segretario generale dell’antitrust dalla fondazione nel 1990 al 2000. Oggi anche in Europa si confrontano due impostazioni diverse: quella incarnata da Margrethe Vestager che punta a far venire allo scoperto e a punire i comportamenti anti-concorrenziali e quella per la quale è importante soprattutto interromperli, quindi promuovere prima di essere costretti a rimuovere. Un atteggiamento flessibile che tenga conto delle imprese coinvolte può produrre risultati migliori. Michele Ainis componente dell’autorità antitrust, invece, vede una tendenza dominante ad aumentare la deterrenza, con sanzioni più pesanti sia alle imprese sia alle persone che le guidano. Lo “spirito del tempo” giustizialista e anti-mercatista, va in questa direzione, tuttavia la realtà è molto più complessa.
Prendiamo la transizione energetica e la sostenibilità. Ne ha parlato Martijn Snoep presidente dell’antitrust e della autorità per l’energia nei Paesi Bassi. L’Olanda è tra i paesi contrari a imporre un tetto al prezzo del gas, non solo perché è tra i maggiori produttori dell’Europa occidentale, ma per un motivo di fondo. La transizione energetica è più veloce di quanto si possa prevedere ed è un processo irreversibile, nonostante tutti gli ostacoli e le difficoltà. Ha bisogno di grandi risorse per finanziare il cambiamento e le innovazioni necessarie. I prezzi amministrati, come qualsiasi intervento legislativo che sia di ostacolo alla concorrenza, sono altrettanti disincentivi agli investimenti. Il price cap, dunque, può portare sollievo immediato ai consumatori, ma diventa un boomerang. Diverso è se si pensa di intervenire su come si forma il prezzo del gas e sulle scappatoie che consentono manovre speculative (terreno proprio delle autorità per la concorrenza). Sotto la pressione dell’emergenza, i governi tendono a cedere alla propaganda populista e finiscono per spararsi sugli alluci come dicono gli americani.
Un’altra contraddizione, messa in luce da Giuseppe Catalano, presidente dell’Associazione italiana giuristi d’impresa, riguarda la spinta a collaborare tra concorrenti, clienti e fornitori per raggiungere in modo più rapido e meno costoso obiettivi di sostenibilità: “Il problema è che, quando si parla di cooperazione, soprattutto tra concorrenti, ciò solleva sempre preoccupazioni di intese monopolistiche”. Non sarà facile uscire da questi conflitti, ancor più difficile sarà affrontare l’intricato nodo dell’accesso ai dati che avviluppa i social e in generale i nuovi mass media. Lo ha ricordato l’avvocato americano Peter Mucchetti mentre nuovi campi si aprono all’antitrust “nell’era Biden”: negli Stati Uniti si fa strada il concetto europeo di abuso della posizione dominante e ormai viene messa al primo posto la tutela del mercato del lavoro e non più solo quella del consumatore. Ci sono più cose, insomma, sul tavolo dell’antitrust di quante ne possa immaginare l’Italia dei privilegi travestiti da diritti acquisiti.