eredità
Modello Del Vecchio, capitalista senza grazia ricevuta
Il fondatore di Luxottica ha cesellato un progetto ambizioso partendo da zero: voleva creare campioni mondiali. Famiglia e niente politica
Si è spento mentre stava tenacemente perseguendo il suo obiettivo finale: diventare capitalista di riferimento, o di sistema che dir si voglia. Con tutta la sua tenacia, la sua abilità, il suo intuito e la sua implacabile marcia trionfale, infatti, Leonardo Del Vecchio non ha esercitato in Italia né il ruolo aristocratico di un Agnelli né quello nazional-popolare di un Berlusconi. Ha dedicato gli ultimi anni al tentativo di colmare il fossato tra la grande ricchezza accumulata e la sua posizione nel firmamento del capitale. Lo ha fatto prima collocando la Luxottica in un grande gruppo multinazionale sia pur con la testa a Parigi, poi con progetti ambiziosi nell’immobiliare (in Italia e in Francia), nella salute, nella moda alleandosi con Armani e (secondo alcune ricostruzioni) tentando di prenderne il controllo, infine con la scalata alla Mediobanca e alle Assicurazioni Generali.
La sua morte, improvvisa nonostante gli 87 anni, rimette tutto in discussione. Perché l’eredità va ben al di là delle carte che il notaio aprirà e che affidano la proprietà alla moglie Nicoletta Zampillo insieme a tutti i figli e la gestione a Francesco Milleri, l’uomo di fiducia collocato al vertice del gruppo Essilor-Luxottica e della Delfin, la cassaforte basata a Lussemburgo che racchiude le partecipazioni del vasto regno dell’ex Martinitt. Che cosa succede a questo punto?
Sapremo esattamente chi sarà il successore solo quando verrà letta la lettera scritta di proprio pugno da Del Vecchio. La Delfin, di cui Leonardo possedeva la nuda proprietà, nel 2017 era stata divisa, con la consulenza del fidato avvocato Sergio Erede, tra la moglie Nicoletta (con il 25 per cento) e sei fratelli e sorelle che si spartiranno il 12,5 per cento ciascuno. Dalla prima consorte Leonardo ha avuto tre figli, Claudio rimasto a New York dove aveva acquistato la Brooks Brothers (finita nel 2020 in amministrazione controllata), Marisa e Paola. Dalla seconda, maritata due volte, ha Leonardo Maria che ha da poco impalmato la modella Anna Castellini Baldissera, e dalla terza (mai sposata) sono nati Luca e Clemente. Nessuno a norma di statuto potrà prevaricare perché le decisioni andranno prese con una maggioranza dell’88 per cento, evitando così i dissapori familiari. Tra la signora Zampillo e l’ex compagna Sabina Grossi, già top manager della Luxottica, i rapporti non sono stati idilliaci. Del Vecchio aveva divorziato dalla Zampillo per la Grossi, ma dieci anni dopo era convolato nuovamente a nozze con la seconda moglie, rivedendo nell’occasione anche la governance della Delfin.
Nel futuro la vedova e i sei figli dovranno gestire una ricchezza stimata da Forbes in 27 miliardi di dollari e non sono solo case (tra Agordo, Milano, Montecarlo, Roma) o l’amato yacht, classici simboli della società opulenta. La holding, infatti, detiene il 32 per cento del capitale di Essilor-Luxottica (altri azionisti sono i dipendenti con il 4,3 per cento, Armani con il 2, il resto diviso tra i fondi d’investimento) un gruppo da 21 miliardi di fatturato con 150 mila occupati, il 19,4 per cento di Mediobanca, il 9,8 di Generali, il 2 di Unicredit, il 26 della francese Convivio, braccio immobiliare quotato a Milano e Parigi che di recente aveva puntato sugli hotel di lusso (per un valore di circa 1,5 miliardi di euro) accanto ad Aterno e alla Dfr Investment. Attraverso una fondazione possiede anche il 25 per cento dello Ieo, l’Istituto oncologico europeo voluto da Enrico Cuccia.
Un ruolo chiave spetta senza dubbio a Milleri sia nella holding sia nella fondazione, ma soprattutto nel gruppo franco-italiano: nel 2020 Del Vecchio è riuscito a collocarlo al comando dopo un’aspra battaglia con i soci francesi; uno scontro destinato a riaprirsi con la scomparsa del presidente, non solo perché il consiglio di amministrazione è diviso a metà, ma perché se gli italiani hanno in mano il marketing i francesi posseggono la tecnologia (sono loro ad aver introdotto le lenti progressive). Una sfida industriale tutta da seguire e analizzare. Sulla piazza di Parigi le azioni sono scese ieri dell’1,4 per cento. L’irresistibile ascesa di Milleri ha suscitato interrogativi e tensioni anche tra i tradizionali collaboratori di Del Vecchio.
Ecco come l’ha raccontata Nicoletta Zampillo che ne è stata per così dire la madrina. “Era il 1991 e mi ero separata dal mio precedente marito. Dopo sei mesi nella casa in cui abitavo è arrivato il dottor Milleri con la moglie e un figlio che aveva la stessa età del mio. Sono diventata amica della moglie e quando mi sono fidanzata con Leonardo ci siamo frequentati con i Milleri per diversi anni. Poi ci siamo separate entrambe e dal 2000 al 2009 non ho più visto Francesco Milleri che invece ha continuato a frequentare mio marito e la sua compagna di allora. Milleri conosce bene anche i figli del primo matrimonio di Leonardo, cioè Claudio, Paola e Marisa. Siamo amici ma non l’ho suggerito a mio marito, lui decide da solo”.
Il manager è un self made man, nato nel 1959 a Città di Castello, in provincia di Perugia. In Umbria ha lasciato il cuore, oltre che la proprietà delle Terme di Fontecchio, ha studiato all’Università di Firenze per poi conseguire un Mba alla Bocconi di Milano. Si è specializzato nei sistemi Sap grazie a un master biennale concluso nel 1990 alla Leonard N. Stern School of Business di New York. Dopo vent’anni di presenza sul mercato si è creato una nicchia rilevante, grazie a clienti quali la stessa Luxottica, ma anche a big a controllo statale quale Eni e Saipem, la Davide Campari e la Barilla. Quanto a Luxottica, ne ha conosciuto ogni angolo nel momento in cui gli è stata affidata la ristrutturazione informatica.
“Consulente, manager, amico di famiglia, compagno di una dirigente del gruppo (Alessandra Senici, direttore Investor relations, ndr). E fornitore. Affari e affetti hanno accompagnato l’ascesa di Francesco Milleri nella governance di Luxottica”, ha scritto il Corriere della Sera. Adesso avrà il compito più difficile: tenere le redini della Essilux e mettere insieme i molti fili dei quali è composto il reame degli occhiali che in Italia e nel mondo non ha concorrenti nel suo campo (la Safilo che ha assorbito gli occhiali Polaroid fattura poco più di un miliardo di euro).
Del Vecchio è stato un abilissimo e talvolta persino bulimico compratore, è cresciuto acquisendo aziende e marchi più che introducendo innovazioni tecnologiche in senso stretto. E ha avuto intuizioni brillanti. Il salto di qualità è dovuto a Giorgio Armani grazie al quale è entrato tra i lustrini della moda. Il sodalizio è durato a lungo, poi s’è interrotto bruscamente e per anni i due non si sono nemmeno più parlati. Si disse che Del Vecchio voleva comprare anche Armani per costruire attorno all’azienda un gruppo del lusso sul modello LVMH. Poi i rapporti sono ripresi e Armani ha mantenuto una quota azionaria. Se le cose stanno così, allora Del Vecchio aveva da tempo concepito quella strategia del “campione nazionale e internazionale” che negli ultimi anni della sua vita ha provato ad applicare anche alla finanza.
La domanda che tutti si fanno a piazza degli Affari è che cosa accadrà adesso al risiko finanziario che negli ultimi anni ha eccitato la borsa. Nelle Generali la sconfitta della lista proposta da Franco Caltagirone e appoggiata da Del Vecchio non ha placato i bollenti spiriti, né quelli degli sfidanti né quelli degli sfidati. Ma certo la scomparsa del patron di Luxottica fa mancare la chiave di volta, l’elemento portante dell’intera operazione. Ciò è ancor più vero in Mediobanca dove la Delfin è azionista numero uno. Milleri seguirà le orme del suo mentore? Non ne ha il carisma, ne avrà la capacità? Di qui alla assemblea del prossimo anno la leadership di Alberto Nagel non verrà più sfidata dall’interno.
Quanto all’esterno, le due banche principali, Intesa e Unicredit (della quale Del Vecchio era socio e cliente eccellente) non smettono di smentire ogni voce che le vorrebbe coinvolgere in quel che resta della “galassia del Nord”. La guerra in Ucraina, a sua volta, ha introdotto una variabile fondamentale che ricade anche sui bilanci delle banche, direttamente per quelle che posseggono attività in Russia e indirettamente per tutte quelle che detengono titoli del Tesoro e hanno finanziato imprese a rischio recessione. Insomma, non è esattamente il migliore dei mondi possibili per avventure finanziarie. Ma molti si chiedono quanto potrà restare in frigorifero un quinto del capitale della prima banca d’affari italiana. Dunque, occhio ai movimenti borsistici nei prossimi mesi.
Resta il sogno di Del Vecchio, o meglio il problema dal quale è nato il suo sogno. L’Italia non è un paese povero di capitali, né di imprenditori in grado di metterli a frutto, ma di capitalisti capaci di giocare sul mercato mondiale e di essere anche profeti in patria. L’uomo oggi considerato più ricco, Giovanni Ferrero, l’erede della famiglia, che guida una delle poche multinazionali tricolori, resta appartato dalla vita pubblica, tra il cioccolato e la sua passione letteraria. Leonardo Del Vecchio è uno degli ultimi esponenti di una schiatta imprenditoriale che s’è formata negli anni della ricostruzione e del miracolo economico. Da questo punto di vista è stato una figura tipica. S’è fatto da solo senza nobili lombi, senza amici potenti e senza aiuti dello stato e per questo è anche atipico nel panorama attuale. Ha capito che per avviare un nuovo ciclo di sviluppo c’è bisogno di superare il nanismo italico, a cominciare dalla finanza la quale, al contrario di quel che si dice e scrive, è leva e lievito dello sviluppo. Le Generali sono grandi, ma non a sufficienza.
La Mediobanca nonostante tutti gli sforzi compiuti da Nagel per uscire dall’ombra di Cuccia, resta in mezzo al guado, in gran parte dipendente dal suo asset ancor oggi dominante: il Leone di Trieste. “Il mondo della finanza nazionale purtroppo è quello più fragile e in ritardo, protetto fino a ora da regolamenti e relazioni forti che non potranno più garantirne la sopravvivenza”, aveva detto Leonardo Del Vecchio al Corriere della Sera. “Per questo e per molte altre ragioni lo slogan piccolo è bello non è solamente falso, ma diffonde una tranquillità illusoria che frena ogni urgenza di cambiamento”. Quindi, “dobbiamo iniziare ad abbattere i muri e a creare campioni prima nazionali e poi europei, per competere alla pari con i colossi mondiali”. Chi saprà farlo è la grande domanda che resta senza risposta.