Senza via d'uscita
Sull'inflazione la Casa Bianca non cerca soluzioni ma solo un capro espiatorio
Dopo averla sottovalutata a lungo, Biden assicura agli americani che l’aumento dei prezzi è la sua principale priorità. Il presidente americano, però, ha cominciato una forsennata ricerca di un colpevole, che pare solo una manifestazione di impotenza e che difficilmente farà recuperare il consenso perduto
Dopo averla sottovalutata a lungo, Joe Biden assicura agli americani che l’inflazione è la sua principale priorità. E’ inevitabile dato che l’aumento dei prezzi nel mese di giugno è stato dell’8,6 per cento, il record da 40 anni. Solo che le sue uscite mostrano che la preoccupazione è pari solo all’incapacità di risolvere il problema. E’ come se, più che soluzioni, il presidente degli Stati Uniti cerchi dei colpevoli. Stavolta sono le compagnie petrolifere che gestiscono i distributori di benzina, accusate di un ricarico eccessivo: “Questo è un periodo di guerra e pericolo globale”, ha scritto Biden su Twitter, invitando le aziende petrolifere a ridurre il prezzo alla pompa: “E fatelo ora”. Per questa uscita si è attirato le critiche di uno degli imprenditori più importanti d’America, Jeff Bezos: “L’inflazione è un problema troppo importante perché la Casa Bianca continui a fare dichiarazioni come questa. Si tratta o di un’azione di depistaggio o di un profondo fraintendimento delle dinamiche di base del mercato”, ha twittato il fondatore di Amazon.
Non è la prima volta che i due si scontrano sul tema. A maggio Biden aveva fatto un altro tweet in cui affermava: “Vogliamo abbassare l’inflazione? Assicuriamoci che le multinazionali più ricche paghino la loro giusta quota”. Bezos rispose dicendo che il neonato “Disinformation board” istituito dall’Amministrazione democratica avrebbe dovuto revisionare il tweet di Biden, perché “Va bene discutere l’aumento delle tasse sulle società. Ed è fondamentale discutere come domare l’inflazione. Ma mettere le due cose insieme è solo un depistaggio”. Bezos, invece, puntava il dito sul piano Build Back Better: un’enorme iniezione di spesa fiscale che ha surriscaldato l’economia. Un pericolo su cui avevano lanciato l’allarme economisti democratici come Larry Summers.
L’amministrazione Biden si è mostrata incapace prima di riconoscere il problema, affermando che l’inflazione fosse “transitoria” (il segretario al Tesoro Yanet Jellen ha poi ammesso l’errore di valutazione), e poi di individuare le cause. La tesi della Casa Bianca era che l’aumento dei prezzi fosse dovuto all’eccessivo potere di mercato delle aziende, e che quindi si potesse tenere a bada l’inflazione attraverso politiche antitrust. Ma per quanto la concentrazione dei mercati sia un problema reale negli Stati Uniti non è l’incremento dei margini di profitto l’origine dell’inflazione (la pensa così il 75 per cento dei principali economisti americani interpellati in un sondaggio dell’Università di Chicago). Le cause sono diverse e molteplici: il rimbalzo dell’economia post-Covid, i colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento globali, il forte stimolo fiscale alla domanda e, infine, la guerra in Ucraina. E solo per uno dei fattori, lo stimolo fiscale, la responsabilità è del governo americano.
Ma ora che i sondaggi indicano una probabile disfatta alle elezioni di midterm, Biden non sembra più impegnato né a trovare le cause né le soluzioni al problema, bensì solo un capro espiatorio. Prima le multinazionali che non pagano le tasse. Poi ha accusato il presidente russo, definendo l’inflazione “la tassa di Putin sul cibo e sulla benzina”. E ora se la prende con i distributori di benzina che non abbassano i prezzi alla pompa. Ma questa forsennata e incoerente ricerca di un colpevole pare solo una manifestazione di impotenza, che difficilmente fa recuperare il consenso perduto.